La misura del fallimento del negoziato svizzero è data dai numeri: ieri, alla fine dei sette giorni di incontri a Ginevra, i raid sauditi hanno ucciso 7 persone e ne hanno ferite 12 nella città di al-Hudaydah; il giorno prima, domenica, 5 donne erano morte in bombardamenti sauditi nella provincia di Sa’ada.

In realtà i morti hanno segnato ogni giorno del cessate il fuoco dichiarato una settimana fa prima dell’avvio del tavolo Onu. Yemeniti uccisi da entrambe le parti, dal movimento Houthi e dalla coalizione anti-sciita guidata da Riyadh, a cui si sono aggiunti domenica 25 soldati sauditi colpiti al valico di al-Tawal da un attacco missilistico Houthi.

Nei giorni precedenti il fragile negoziato svizzero era vacillato spesso, tra reciproci scambi di accuse di rottura della tregua. Fino a venerdì quando la delegazione Houthi non si è presentata al tavolo in polemica con la coalizione che sostiene il presidente Hadi e accusata di approfittare del cessate il fuoco per lanciare ampie controffensive in zone strategiche, da Taiz alla capitale Sana’a.

L’Onu ha ricucito lo strappo ed ha traghettato i due avversari alla chiusura ufficiale del negoziato. L’inviato delle Nazioni Unite per lo Yemen Ismail Ould Cheikh Ahmed si è mostrato ottimista e ha promesso un nuovo round di incontri a partire dal 14 gennaio prossimo. In mano, però, si è ritrovato un pugno di mosche: dopo una settimana le due parti non hanno segnato alcun accordo che ponga fine al conflitto o dia il via alla nascita di un governo di unità nazionale.

Unico risultato: la creazione di due comitati congiunti, uno che supervisioni la consegna degli aiuti umanitari e uno che monitori le violazioni del cessate il fuoco, prolungato di altri 7 giorni. Uno sforzo inutile vista la farsa della tregua precedente.