L’impatto politico dell’attentato di Manchester è ancora difficile da delineare, anche se alcuni elementi emergono con una certa nettezza. Mentre fervono ricerche e indagini, e i soldati marciano per le strade, si cerca di trovare un equilibrio fra il rispetto per il lutto delle famiglie, la sicurezza pubblica e la necessità di dimostrare che, per quanto durissimo, il colpo non ha compromesso la vita democratica del paese al punto da impedirne il normale svolgimento. Nelle parole di Jeremy Corbyn: «Riprendere il dibattito democratico e la campagna elettorale è un segno essenziale della determinazione del paese a difendere la nostra democrazia e l’unità che i terroristi hanno cercato di attaccare».

Oggi dunque riprende la campagna a livello nazionale – ieri lo era stata solo localmente, con la consueta distribuzione di volantini nelle case e nei luoghi pubblici – e la prossima settimana ci sarà la presentazione del programma dello Scottish National Party, cancellata la mattina dopo l’attentato. Il paese si reca alle urne tra due settimane circa, in una campagna elettorale lampo voluta da Theresa May per garantire al suo partito mano libera nella gestione della Brexit, la fase più delicata della sua storia recente.

E se la partigianeria della campagna è stata ufficialmente sospesa, in realtà si è solo mimetizzata nel doveroso rispetto di tanto dolore. Come dimostra il fatto che Theresa May abbia personalmente annunciato alla nazione l’innalzamento del livello di rischio di un attacco terroristico a «imminente» e la militarizzazione degli spazi civici, non lasciando che a farlo fosse la ministra dell’interno Amber Rudd, cui spettava istituzionalmente il compito.

Insomma, a voler guardare con occhi asciutti le implicazioni di questa immane tragedia, i Tories ne hanno beneficiato non poco, dividendi elettorali pronti da incassare. E giova ricordare che la campagna elettorale dell May – il cui stile nordcoreano tradiva un certo disprezzo per il discernimento dei suoi stessi sostenitori – stesse andando male quanto bene andava invece quella dell’«incompetente» e «debole» Jeremy Corbyn, denunciato dalla stampa filo-Tory come un nemico interno simpatizzante del separatismo irlandese. E più che mai dopo la presentazione dei rispettivi programmi: accolto generalmente con favore e interesse quello laburista, criticato per la mancanza di informazioni sui costi e soprattutto per la crudele «dementia tax» quello conservatore.

È dunque del tutto poco sorprendente che, di tutti i partiti, l’Ukip sia quello che ha rotto per primo gli indugi, presentando ieri il suo manifesto: con un clima simile, il Dna xenofobo del partito guidato da Paul Nuttall ci va a nozze. L’attaccare, come ha fatto ieri lo stesso Nuttall, May per non aver impedito all’attentatore di fare ritorno dalla Libia gli permette il tentativo di tamponare in extremis l’emorragia di voti verso i conservatori che rischia di cancellare del tutto il suo partito.