Tregua pasquale. Le operazioni militari intraprese nei giorni scorsi dal governo di Kiev contro i ribelli filorussi dell’est del paese sono state sospese. La misura è stata presa sfruttando il fatto che quest’anno i calendari cattolico e ortodosso convergono: la pasqua si celebra oggi in entrambe le comunità cristiane.

La scelta di Kiev sembrerebbe agganciarsi all’intesa vergata l’altro giorno a Ginevra, dove Stati uniti, Russia, Europa e governo ucraino hanno concordato l’alleggerimento della crisi, apripista alla progressiva stabilizzazione del paese. Il passaggio fondamentale riguarda lo smantellamento dei gruppi armati attivi nell’ex repubblica sovietica e la fine delle occupazioni di edifici e spazi pubblici.

L’accordo sembra molto difficile da implementare, se è vero che nelle regioni dell’est le bande filorusse, infiltrate – così dicono in molti – dai servizi di Mosca, non hanno manifestato l’intenzione di adeguarvisi. La situazione più sensibile è quella che del distretto di Donetsk, ex roccaforte elettorale del deposto presidente Viktor Yanukovich e bastione industriale del paese. Da solo, malgrado le sue industrie metallurgiche e minerarie siano antiquate, fa il 12% del Pil. Denis Pushilin, capo dei ribelli della regione, ha affermato che i suoi uomini, che non riconoscono l’autorità di Kiev e spingono sull’opzione separatista, resteranno sulle barricate.

I filorussi sostengono inoltre che non esauriranno l’iniziativa fintanto che anche il presidio di piazza dell’indipendenza, a Kiev, non verrà sbaraccato. Ma la gente della Maidan non ne vuole sapere: punta a rimanere sulla piazza fino alle presidenziali del 25 maggio, ammesso che ci siano le condizioni affinché il voto si tenga (Mosca su questo esprime dubbi), con lo scopo duplice di proteggere la rivoluzione e pungolare al tempo stesso il governo. I responsabili di Maidan affermano inoltre che il loro accampamento non è paragonabile alle barricate filorusse, essendo autorizzato dal comune di Kiev.
È stallo, dunque. Tanto che Kiev ha fatto sapere che l’offensiva potrebbe riprendere dopo la pasqua. Intanto s’apprende che i servizi doganali avrebbero ristretto l’accesso al paese a tutti gli uomini russi di età compresa tra sedici e sessant’anni. Il timore è che vadano a rinforzare le file dei ribelli dell’est.

Mosca, da parte sua, ha confermato che le proprie truppe sono acquartierate lungo la frontiera. Il Cremlino continua a tenere sul tavolo l’opzione della forza (come quella del taglio delle forniture di gas), anche se esplicita che non vorrebbe arrivare a tanto. Putin ribadisce anche che il compito di fluidificare la situazione spetta in primo luogo a Kiev e all’occidente. Sul fronte opposto si chiede invece alla Russia di effettuare in questo senso una mossa concreta. È chiaro: nessuno vuole fare il primo passo. L’Osce, che ha il compito di negoziare la normalizzazione della contesa, dovrà fare miracoli.
Il paradosso del pantano ucraino è che le parti in causa giocano con le stesse tattiche. Si specchiano l’una nell’altra. Se la rivoluzione della Maidan è stata portata a termine con l’apporto decisivo dei gruppi armati di estrema destra e ha visto nell’occupazione degli edifici del potere una pratica costante, l’insurrezione filorussa si fa allo stesso modo: armi e presa dei palazzi. Non è l’unica similitudine. I guerrieri della Maidan si sono fatti benedire dai preti greco-cattolici e da quelli della chiesa ortodossa-patriarcato di Kiev, quelli dell’est vengono spruzzati di incenso dai pope ortodossi legata al patriarcato di Mosca.

Nel frattempo, mentre Putin ha fatto un’apertura al prossimo segretario generale Nato, l’ex primo ministro norvegese Jens Soltenberg, l’Ue continua a mantenere una posizione cauta verso la Russia, escludendo dall’ipotetico inasprimento delle sanzioni, finora poco incisive, il discorso dell’energia. Il gas russo continuerà a fluire nell’Ue.