Due giorni senza incontri diretti e con basse aspettative: sta qui forse la chiave del successo di facciata del dialogo siriano ad Astana, concluso ieri. Di passi avanti politici non ce ne sono stati, come nei precedenti incontri sponsorizzati dall’Onu.

Dopotutto le (frammentate) opposizioni sono state chiare: prima il cessate il fuoco. Da parte sua il governo siriano non ha fretta e avalla la posizione attendista, utile a consolidare il controllo nei territori ripresi ai gruppi armati.

Il documento finale – condito da accuse e delegittimazione reciproca – è l’accordo tra le tre parti che hanno imbastito la conferenza: Turchia, Russia e Iran hanno stabilito i meccanismi tecnici necessari ad intervenire nel caso di violazioni e ribadito la partecipazione delle opposizioni al tavolo Onu a Ginevra dell’8 febbraio.

«[Iran, Russia e Turchia] cercheranno, attraverso misure concrete e usando la propria influenza sulle parte, di consolidare il cessate il fuoco – si legge nel comunicato finale (qui la versione completa) –, di contribuire a minimizzare le violenze e di assicurare l’accesso umanitario. […] Reiterano la determinazione a combattere congiuntamente Isis e al-Nusra e di separarli dai gruppi armati di opposizione. Sostengono la volontà delle opposizioni di partecipare al prossimo round di negoziati sotto l’auspicio Onu a Ginevra l’8 febbraio 2017».

Si dirà che simili previsioni erano già state individuate in precedenza, quando a negoziare con Mosca c’erano gli Stati Uniti. Ma ora c’è un elemento in più che potrebbe tenere in piedi il cessate il fuoco: i mediatori sono direttamente coinvolti nel conflitto, controllando e finanziando i gruppi armati anti e pro Assad (anche gli Usa lo hanno fatto a piene mani, ma le milizie create e sostenute sono quasi tutte scomparse).

E, nonostante fonti di opposizione ieri rigettassero a parole il documento, è difficile che abbandonino un tavolo che garantisce loro la sopravvivenza.

In secondo luogo va tenuto conto della nuova situazione bellica: Aleppo è tornata completamente in mano al governo e le opposizioni non sono mai state tanto deboli. Una debolezza resa palese dalle divisioni intorno al negoziato (con il salafita Ahrar al-Sham che si è defilato e l’Hnc voluto dall’Arabia Saudita che si limita ad un «sostegno remoto») e dagli scontri che in queste ore vedono contrapporsi gruppi che in passato non hanno disdegnato alleanze di comodo.

L’ex al-Nusra ha compiuto ieri una serie di attacchi coordinati contro unità dell’Esercito Libero Siriano a nord-ovest, tra Idlib e Aleppo, con artiglieria pesante e kamikaze.

A spiccare ieri è stata l’assenza dei kurdi di Rojava, diktat di Ankara che ha anche precisato che non cederà al-Bab a Damasco. Scaramucce, vista l’attuale debolezza turca. Ma di certo l’esclusione delle Ypg è un limite serio. Ieri in una nota i kurdi siriani hanno detto di non sentirsi vincolati a decisioni a cui non hanno preso parte.

Sullo sfondo resta la notizia (per ora negata da Washington) di raid congiunti anti-Isis di Stati Uniti e Russia. Si tratterebbe del primo diretto coordinamento, con la Casa Bianca a rimorchio del Cremlino come Astana ha evidenziato. Primo effetto dell’era Trump?