Politica

Tre sì o tre forse, Pd diviso dai referendum

Tre sì o tre forse, Pd diviso dai referendumLa ministra della giustizia Marta Cartabia

Giustizia Letta: no ai quesiti su abolizione della legge Severino e custodia cautelare, atteggiamento positivo verso gli altri ma le riforme vanno fatte in parlamento. Base riformista e Giovani turchi: se ci si arriva bisogna votare a favore

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 22 febbraio 2022

Due no sono sicuri. Il Pd voterà no al referendum che chiede di cancellare la legge Severino e no al referendum che vuole abrogare alcune ipotesi in cui è consentita la custodia cautelare preventiva. Sugli altri tre il dibattito è aperto. Enrico Letta ha detto in direzione che c’è «un atteggiamento positivo» sul referendum che vuole cancellare le firme in appoggio alle candidature dei magistrati al Csm, sul referendum che introduce il voto degli avvocati nei consigli giudiziari sulle valutazioni di professionalità dei magistrati e anche sul referendum che punta a separare nettamente e definitivamente le funzioni di pm e giudici. Questi ultimi referendum trattano «tre materie che stanno dentro la discussione che ci sarà in parlamento – ha detto Letta – e noi pensiamo che le risposte avverranno lì. Non ci vedono contrari, ma è dentro il dibattito parlamentare che noi vogliamo che arrivino le risposte».

Letta concede qualcosa anche sui referendum che ha già deciso di bocciare: contengono anche quelli «elementi positivi» ma «produrrebbero nel complesso danni assai superiori ai miglioramenti». Il Pd, spiegano al Nazareno, «non entra nelle guerra di certa politica alla magistratura», anche se soprattutto sul referendum che cancellerebbe la legge Severino c’è una forte pressione dei suoi amministratori locali per votare sì. A loro si rivolge Letta, assicurando «un lavoro esigente in parlamento». Il riferimento è al fatto che il Pd ha da tempo depositato una proposta di legge per correggere la Severino nel punto in cui prevede la decadenza e l’ineleggibilità degli eletti e degli amministratori locali anche solo dopo una condanna in primo grado (e non, come si vorrebbe fare, dopo una condanna definitiva come i parlamentari nazionali).

Dalle parole di Letta, le correnti traggono un sillogismo: se non si riuscirà, con la riforma Cartabia, a evitare i referendum sui quali c’è «un atteggiamento positivo», allora si voterà sì. Andrea Romano, il portavoce di Base riformista lo dice in direzione. Orfini e i giovani turchi sono sulla stessa linea. La risposta di Letta è interlocutoria: vedremo. «Questo parlamento è stato in grado di fare la riforma del processo penale e del processo civile, di recepire la direttiva sulla presunzione di innocenza, adesso siamo all’ultimo miglio – dice in direzione Walter Verini, relatore alla camera della riforma in questione – cerchiamo di arrivare in fondo, altrimenti valuteremo». Il capogruppo in prima commissione Stefano Ceccanti, Base riformista, è assai più netto: «Meglio risolvere in parlamento, altrimenti si vota sì».

Il problema è che assai difficilmente i referendum saranno disinnescati, a parte quello sulle firme per le candidature delle toghe che è contenuto nella parte del disegno di legge di immediata applicazione. Separazione delle funzioni (comunque più blanda di quella prevista dal referendum) e voto degli avvocati sono nella parte della delega: la camera dovrebbe modificare la legge e anticiparne l’entrata in vigore per consentire alla Cassazione di dichiarare superati i referendum. Tutto questo se si farà in tempo: ieri sera ancora non erano arrivati in commissione giustizia gli emendamenti annunciati dal governo, undici giorni fa.

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