Un peschereccio stracarico di migranti che si capovolge nel Canale di Sicilia: sei i morti, un numero imprecisato di dispersi, 364 le persone tratte in salvo dagli uomini dell’operazione Mare Nostrum. E’ il terzo naufragio in poco più di 48 ore: il primo è avvenuto sabato scorso al largo delle coste libiche, con un bilancio stimato di 200 vittime; il secondo nella notte tra sabato e domenica, con 18 morti.

Solo domenica scorsa nel porto di Pozzallo c’erano 18 bare per i 18 morti trovati su una carretta del mare in avaria, sulla quale erano sopravvissuti 73 compagni di viaggio stremati e assetati, partiti due giorni prima da un imprecisato porto della Libia (nessuno dei migranti ha saputo identificarlo). Sul molo anche i militari, i soccorritori e gli uomini di chiesa per dare loro l’estrema unzione. I magistrati sono al lavoro per cercare di capire quali siano state le cause della morte, niente di più che una magra verità giudiziaria.

Ieri per tutta la giornata hanno ascoltato uno a uno i 73 superstiti del naufragio, tra loro c’erano anche sette palestinesi, rifugiati in Siria. Non è ancora chiaro se le 18 vittime siano state uccise dalla sete, dalla fame o dalle esalazioni della benzina provenienti dalle numerose taniche di carburante trasportate sulla barca.

L’unica cosa certa è che da troppi anni nel Canale di Sicilia si consuma un’ecatombe. E se l’Italia e i comuni siciliani che si affacciano nel Mediterraneo, provano con difficoltà a fronteggiare l’emergenza, attenti a non sforare i vincoli di bilancio imposti da Bruxelles, l’Europa sta a guardare salvo poi affidare a note ufficiali considerazioni di commiato e sgomento per le migliaia di vite spezzate durante i viaggi della speranza.

Intanto è in atto un esodo di massa, che ha i volti di chi come Mohammed, Abul, Ammar nelle coste ai confini dell’Europa dei popoli è riuscito a mettere piede; ma anche quelli solo immaginati delle migliaia di somali, eritrei, nigeriani, ghanesi, maliani, tunisini, marocchini finiti in fondo al mare. Di loro però non si saprà nulla, mai. Numeri, solo numeri che sfuggono alle stime ufficiali, che raccontano, tracciando un bilancio solo delle ultime 48 ore, di 4.000 persone salvate dagli equipaggi delle navi della Marina militare, delle Capitanerie di porto, da navi mercantili. Poi ci sono quelli salvati dall’inizio dell’esodo da pescatori e uomini di mare, ma sfuggono alle stime ufficiali.

A causare il naufragio di domenica notte, a nord delle coste libiche, si ipotizza siano state le condizioni del mare non buone, insieme all’elevato numero di persone a bordo del peschereccio che si è capovolto. Secondo prime ricostruzioni, ad intervenire per primo sul posto, nel giro di pochi minuti, è stato un elicottero della Marina militare, decollato da Lampedusa, che ha lanciato ai naufraghi i salvagenti. Le persone in mare sono state tratta in salvo dal pattugliatore Foscari e dalla corvetta Fenice, da una motovedetta della Guardia costiera e dalla nave mercantile Burbon Orca. I sei cadaveri, recuperati dagli uomini di Mare Nostrum, vanno ad aggiungersi a quelli – probabili – di altri 200 migranti che risultano ancora dispersi e che la guardia costiera libica sta cercando davanti alle coste di Tripoli.

Il pattugliatore Foscari ha inoltre soccorso e recuperato altri immigrati da un secondo natante sbarcando tutti domenica sera a Pozzallo: 266. La fregata Fasan, invece, a Reggio Calabria ha consentito il trasbordo di altri 1.373 migranti. Tra l’oro, il corpo senza vita di un uomo che, secondo alcune testimonianze, sarebbe stato ucciso da uno degli scafisti.
Sempre in Calabria, a Crotone, la nave San Giusto ha sbarcato nel pomeriggio 1.367 persone, tra cui 192 donne e 156 minori. E sempre domenica altri 277 sono sbarcati di sera nel porto di Trapani.

A un anno dall’avvio dell’operazione Mare Nostrum, i numeri forniti dalla Marina militari parlano di 113mila migranti, donne, uomini e bambini, tratti in salvo dall’Italia, e raccontano di 230 scafisti fermati. E mentre l’Italia auspica che Mare Nostrum venga trasformata in una missione multinazionale, l’Europa solo nei prossimi giorni cercherà di capire quale ruolo dovrà assumere. Non c’è tempo per le soluzioni, ce n’è per morire.