Il 29-30 e 31 marzo, contestualmente al Congresso Mondiale delle Famiglie, Non Una di Meno, rete femminista estesa su tutto il territorio, ha convocato un corteo e tre giorni di mobilitazioni per parlare di diritti delle donne e delle persone Lgbtqi. Nel documento politico scritto per l’occasione, Non Una di Meno non parla di «ritorno al medioevo», ma di ondata reazionaria e di esplicito antifemminismo: «La loro non è che una scomposta difesa di fronte alla potente sollevazione globale delle donne che sta facendo saltare un ordine basato su coercizioni, sfruttamento e gerarchie». La tre giorni, chiamata «Verona Città Transfemminista», prevede tra le altre cose convegni per raccontare come è nata e come si è diffusa la cosiddetta «ideologia del gender», con ricercatrici europee, laboratori di piazza per insegnanti sull’educazione contro sessismo e razzismo, la proiezione del documentario «Aborto le nuove crociate» della tv franco-tedesca Arte sugli attacchi a livello internazionale alle leggi che regolano l’aborto, performance teatrali e spazi per i bambini e le bambine.

Sabato alle 14,30, con partenza dalla Stazione di Porta Nuova, ci sarà un corteo e domenica, dalla mattinata, è stata organizzata un’assemblea internazionale durante la quale interverranno i movimenti femministi da tutto il mondo: ci sarà Marta Dillon di Ni Una Menos Argentina, attiviste da Polonia, Croazia, Regno Unito, Paesi Bassi, Spagna, Francia, Irlanda, Germania, Bielorussia e altri paesi ancora. Alla tre giorni e al corteo di Non Una di Meno hanno aderito molti movimenti nazionali e internazionali, sono state lanciate petizioni e campagne di comunicazione per raccontare chi sono e che cosa pensano le persone che interverranno al Wcf. Non Una di Meno ha chiesto che vengano rispettate le modalità del movimento, soprattutto durante il corteo, con particolare attenzione per partiti e sindacati: nessuna bandiera, nessun palloncino, ma contenuti.

Negli ultimi giorni, contro il Congresso Mondiale delle Famiglie, hanno preso posizione, in città, il collettivo universitario La Sirena, che ha avviato una raccolta firme tra studenti e studentesse (accessibile anche online) e circa 700 accademici (ricercatrici, ricercatori e docenti) che si sono espressi contro le «opinioni e le convinzioni etiche e religiose» che prevedono la «patologizzazione dell’omosessualità» e il fatto di considerare l’aborto come «causa del declino demografico».

Dopo le loro dichiarazioni, lo striscione arcobaleno esposto fuori dall’università con sopra citato l’articolo 1 comma 3 dello statuto dell’Ateneo («L’Università promuove il pluralismo delle idee e respinge violenza, discriminazione e intolleranza») è stato danneggiato: sono state tagliate le lettere «re» della parola «respinge», stravolgendo così il significato dell’intera frase.