La prima edizione delle Fiabe Italiane di Calvino aveva una dedica: a «Raggio Di Sole», nome che anagrammato, con la licenza poetica di una «e» in meno, ne contiene un altro, Elsa De Giorgi.

Chi era costei non lo ricordano in molti, nonostante avesse dalla sua anche l’argomento trasversale di una lussureggiante bellezza, e il perché sta nelle pieghe di disattenzioni editoriali, ragioni di convenienza, di ostracismo politico resistente al tempo. La storia di Elsa, intrecciata alla vita culturale italiana degli anni centrali del Novecento è quella, ha detto qualcuno, della Resistenza vista da Cinecittà: nata a Pesaro da nobile famiglia umbra di Bevagna, la De Giorgi è stata attrice, scrittrice, punto di riferimento per intellettuali come Calvino, Pasolini (che la volle per anni accanto a sé ad ogni prima, nonché nel cast di Salò) Gadda, Savinio, Palazzeschi, Anna Magnani.

Per Italo Calvino, che deve l’incontro con la De Giorgi al suo lavoro di redattore per Einaudi con cui lei pubblicò il memoriale I Coetanei, è stata anche un amore totalizzante; la dedica in codice al catalogo dei destini che possono darsi a un uomo e a una donna lo spiega bene: quella tra i due è stato uno scambio illuminante e in grado di sparigliare le carte a Calvino, autore e uomo sommamente razionale, sorvegliato e pochissimo auto indulgente.

Esiste un compendio di questa storia d’amore raccontata dalla stessa De Giorgi e pubblicata da Feltrinelli due anni fa col titolo Ho visto partire il tuo treno; se ne è parlato solo come di un epistolario amoroso («Il più bello del Novecento» secondo la semiologa Maria Conti); va detto però che la storia tra i due è anche pretesto e filo conduttore di una cronaca molto più vasta che prosegue il racconto della stagione culturale italiana post bellica già intrapreso con altro romanzo autobiografico , il suddetto I Coetanei, riedito sempre da Feltrinelli qualche mese fa e vincitore dell’edizione speciale del Premio Viareggio nel 1960 per la narrativa della Resistenza. È stato detto che pubblicando Ho visto partire il tuo treno De Giorgi avrebbe voluto di dimostrare la propria influenza nella vita e nell’opera di Calvino. Come se la groupie di turno di una rockstar tirasse fuori chat di fuoco col suo idolo, per accampare qualche pretesa. Come se la sua scrittura non fosse ironica, sufficiente a se stessa e felice, come lo erano i suoi occhi di stare su quel viso e ogni cosa di lei di ogni altra cosa di lei: l’osservazione è dello stesso Calvino e indirizzata all’alter ego della De Giorgi, la Viola amata da Cosimo nel Barone Rampante.

La trilogia dei Nostri Antenati, è stata concepita dallo scrittore proprio nel pieno del suo innamoramento per Elsa, quando, torturato dal sentimento, si trovò a sognare una vita tra gli alberi e a sublimare nel Cavaliere Inesistente la figura del marito di Elsa, Sandrino Conti Bonacossi: il partigiano biondo che scomparve nel 1955 in circostanze e per motivi mai del tutto chiariti. Un’ombra, un vuoto a forma di cavaliere, tanto inesistente quanto resistente, al fianco della De Giorgi che su di lui incentra la seconda parte dei Coetanei.

Al di là dei frammenti del discorso amoroso i testi della De Giorgi – secondo l’introduzione di Roberto Dedier al libro – testimoniano con impietosa lucidità il passaggio italiano verso la Repubblica, il fallimento degli intellettuali sopravvissuti a guerra e Fascismo, affannati nel tentativo di comunicare la loro disperazione attraverso forme d’arte chiusa; Moravia, Guttuso, Bellonci, Pavese, Salvemini e, su tutti, Carlo Levi a cui entrambi i libri sono dedicati. L’unico autore che fu capace, di indicare, pur nell’annichilimento, una via possibile: quella del ripensare il passato prossimo e il presente attraverso la pietà.

Elsa De Giorgi aveva debuttato a sedici anni nel cinema con Mario Camerini: questo episodio, come tutto il racconto della sua vita di giovane attrice, è affidato alla prima parte dei Coetanei, permeata del racconto della cretineria dei gerarchi fascisti, dell’incanto gitano della Magnani, delle battute di Trilussa, la resistenza della stessa De Giorgi al cinema di regime e al Ministro della Cultura Pavolini.

La vita della De Giorgi fu segnata e costellata da un incalcolabile numero di incontri; nella sua strada romana le capitò anche di incrociare, lei marchigiana per caso, una marchigiana d’elezione (e d’ascendenza paterna) la commediografa Anna Bonacci, altra sfolgorante sconosciuta al grande pubblico.

Una foto le ritrae insieme all’inizio degli anni Cinquanta; pochi i gradi di separazione tra le due, in pratica uno solo: il regista Mario Camerini che scoprì e diresse Elsa nel melodramma del 1943 T’amerò per sempre e che dalla commedia firmata da Anna Bonacci L’ora della fantasia trasse il fortunato Moglie per una notte, del 1952. In entrambi i casi Camerini decretò la fortuna delle due donne: la De Giorgi lanciata nel firmamento del cinema e la Bonacci, drammaturga che toccò il vero successo solo dopo che il regista scelse il suo testo per il film di cui in seguito Billy Wilder firmò il remake.
La pellicola di Camerini, protagonista Cervi e Lollobrigida, divenne negli USA Kiss me stupid ovvero il film meno amato del regista, a causa della condanna comminata alla pellicola dalla «Legione cattolica per il pudore».

Era il 1964 e per impersonare la prostituta che Anna Bonacci aveva collocato in una contea inglese nel 1850, Wilder scelse Kim Novak; con lei Dean Martin, Ray Walston e Felicia Farr. Nella commedia, moglie angelo del focolare e amante si scambiano di ruolo a beneficio dei sogni di gloria di un marito querulo – trovandosi a vivere così incidentalmente la propria ora di fantasia; il momento dell’adulterio per l’una, della normalità borghese dell’altra, si concretizzano grazie all’irruzione dell’estraneo nella quotidianità capace di portare al riscatto delle più profonde esigenze censurate.

Una certa spregiudicatezza nel linguaggio, la poca simpatia per le ipocrisie coniugali di una commediografa della provincia italiana negli Anni Quaranta scandalizzarono i benpensanti americani dei favolosi Sessanta «Io penso che il matrimonio unisca malinconicamente per tutta la vita due persone che avrebbero passato insieme qualche settimana deliziosa». Anna Bonacci, figlia del senatore iesino Teodorico Bonacci, molto pendolò tra Ancona e Roma e vibrò sempre di un’intermittente ribalderia cui si devono testi divertenti e sensuali e sensualità. Tra questi La casa delle nubili, Giudizio universale, Rendez-vous spaziale, e una curiosa raccolta di fiabe della tradizione; è datato 1929 e consiste in una rivisitazione in chiave psicoanalitica e protofemminista dei contes di Perrault: Le favole insidiose, ovvero Cappuccetto Rosso, Barba Blu, Gatto stivalato, Pelle d’Asino, La Bella Addormentata nel Bosco e Cenerentola.

Anche questo è un compendio di destini, quelli che possono darsi però alle sole donne, nella rilettura della Bonacci liberate dalle maglie di ruoli antichi e happy end preconfezionati (dagli uomini).

La stessa operazione condotta in altri tempi e con altra evoluta maestria, dall’inglese Angela Carter (anche lei troppo a lungo trascurata) con la sua raccolta di racconti La Camera di Sangue. L’opera del 1979, da cui Neil Jordan trasse il film horror fiabesco In compagnia dei Lupi, è stata da pochissimo riedita da Fazi e comprende molte varianti sul tema Cappuccetto Rosso e il Lupo, una rilettura matriarcale di Barbleu , un gatto con gli stivali molto licenzioso; i testi hanno notevoli consonanze con l’analisi certamente più acerba realizzata oltre mezzo secolo prima da Anna Bonacci.

Elsa, Anna e Angela, le donne assertive, ironiche, intelligenti e sensuali («perché pieghi le tue belle spalle nell’esercizio della scrittura?» chiedevano alla De Giorgi), neglette e consorelle nella capacità di dare scandalo per una scrittura e una condotta non ortodosse, inqualificabili perché sfuggenti per sempre all’etichetta e al Tempo.