Gli Stati uniti hanno espulso tre diplomatici del Venezuela: incaricato d’affari, vicesegretaria e console di Houston. Da ieri, Calixto Ortega, Monica Alejandra Sanchez Morales, e Marisol Gutierrez de Almeida hanno 48 ore per lasciare gli Usa. Washington risponde così alla precedente decisione del presidente venezuelano Nicolas Maduro verso tre alti funzionari dell’ambasciata Usa di Caracas: Kelly Keiderling, incaricata d’affari e massima autorità dell’ambasciata, David Mutt, funzionario consolare, e Elizabeth Hoffman, della sezione politica della delegazione diplomatica. Entro oggi devono lasciare il paese. «Hanno 48 ore per andarsene. Non mi importa quali misure prenderà il governo di Barack Obama.Yankees go home, fuori dal Venezuela», aveva dichiarato Maduro. E ieri ha motivato a reti unificate le accuse di ingerenza e sabotaggio. Mostrando i loro viaggi nelle principali zone industriali, gli incontri con l’estrema destra venezuelana e le riunioni con la Ong Sumate, fondata dalla deputata ultraliberista Maria Corina Machado e apertamente finanziata dal Pentagono. Sumate è stata fondata nel 2002 per organizzare il referendum revocatorio contro l’allora presidente Hugo Chávez (morto il 5 marzo 2013). Un referendum perso dall’opposizione nel 2004 (oltre il 60% dei sì per Chávez), ma mai riconosciuto da Sumate, che ha continuato sulla stessa linea contro Maduro.

Per Washington, principale acquirente di petrolio di Caracas, espellere i diplomatici bolivariani è un atto dovuto di «reciprocità». «Noi, però, non abbiamo mai organizzato complotti contro il presidente Obama», ha ribattuto Calixto Ortega. Quattro mesi fa, la sua nomina come incaricato d’affari si è inserita nei tiepidi tentativi di avvicinamento delle due diplomazie, che non si sono più scambiati ambasciatori dal 2010. Un avvicinamento subito interrotto: a luglio l’attuale ambasciatrice di Washington all’Onu, Samantha Power, ha attaccato il governo Maduro.

«Un diplomatico non deve limitarsi a un interscambio con il governo… ma andare un po’ più in là e comprendere quel che avviene nel paese, il suo funzionamento, le aspirazioni del suo popolo», ha detto ieri Kelly Keiderling in una conferenza stampa, negando ogni accusa di sabotaggio, ma ammettendo viaggi e riunioni con la «società civile». Un’ammissione di colpevolezza, per la quale è stata ritenuta «persona non grata», ha ribattuto il ministero degli esteri venezuelano. Nessuno ignora, infatti, in America latina, i trascorsi e il ruolo di Keiderling, proveniente da una famiglia di alti ufficiali Cia e organizzatrice di analoghi «incontri con la società civile» anche a Cuba. Raul Capote, ex agente cubano infiltrato nella Cia, ha raccontato nel libro El enemigo anni di trame da lei orchestrate all’Avana. «È una funzionaria molto capace e scaltra – ha detto Capote al manifesto – da me, che allora ero un giovane scrittore considerato d’avanguardia…voleva che diffondessi i piani di Washington a livello ideologico e culturale: che seminassi il dubbio fra gli studenti e attraverso i miei libri. Mi hanno finanziato un’agenzia letteraria, fornito clandestinamente materiale tecnologico e informativo. Poi mi hanno chiesto di dirigere concretamente un piano eversivo e allora il governo ha deciso di ’bruciarmi’».