Siamo ancora dentro il tunnel e, considerata la diffusione impetuosa e globale, è probabile dovremo convivere per un po’ con la pandemia e per molto con le sue conseguenze.

Dobbiamo, quindi, agire per fronteggiare l’emergenza e recuperare quanto possibile, ma dobbiamo anche operare per una transizione verso nuovi assetti ed equilibri. Con questo spirito penso dovremmo agire sui tre principali piani di azione.

Piano Sanitario. Questa è la prima pandemia dell’era digitale. La misuriamo con pochissimi dati puntuali raccolti dalle autorità sanitarie. Essi, però, non consentono di correlare azioni e risultati per pianificare tempi e modalità di uscita. In qualche paese sono state sperimentate applicazioni per monitorare persone e contatti, in altri si sta pensando a specifiche rilevazioni. In Italia stanno nascendo progetti (Forum Disuguaglianze e Diversità) per integrare i dati puntuali con un campione rappresentativo dell’intera popolazione. Si potranno così avere informazioni preziose per misurare la diffusione effettiva del contagio, monitorarne correttamente i tassi di guarigione e – soprattutto – misurare la relazione tra le singole misure restrittive ed i loro effetti. Tutto questo è indispensabile per gestire una fuoriuscita graduale e controllata.

E’ importante, quindi, che mentre si agisce sull’emergenza potenziando la ricerca scientifica sui farmaci, si gettino basi informative per il futuro. Le pandemie, purtroppo, si ripresentano nel tempo e mentre si combatte quella in corso è bene predisporre strumenti utilizzabili anche per quelle che verranno.

Piano sociale. Se questa crisi ha messo a nudo i limiti del nostro, pur straordinario, modello sanitario (strutture fisiche, strumentazione, carenze di personale), la sospensione delle attività sta facendo emergere tutta la fragilità del tessuto sociale. I due processi che hanno attraversato la nostra società – estrema frammentazione del mondo dei lavori e misure sparse di protezione sociale – hanno marciato in questi anni sull’onda delle emergenze, senza visione e dialogo.

Così sono saltati i confini tra lavoro e non lavoro, tra lavoro dipendente e lavoro autonomo e nella stessa persona si sono intrecciate identità lavorative diverse e supporti di reddito di varia natura. Adesso l’emergenza spingerà a misure tampone ed i nomi degli interventi sui redditi, già abbondanti, aumenteranno. Non si può continuare così. Legare emergenza e transizione, oggi, significa riorganizzare gli strumenti di azione su lavoro e redditi, riaffermare che non ci può essere più chi non goda di un sostegno sociale minimo per affermare il suo diritto di essere cittadino, ma anche riproporre un vero e proprio diritto fondamentale al lavoro.

Quindi temi come allargamento del reddito di cittadinanza e lavoro di cittadinanza debbono essere rivisitati in una visione di futuro. Anche per ricomporre, alla luce delle esperienze di solidarietà di questi giorni, il tessuto sociale e la ricchezza dello stesso essere umano.

Piano economico. Siamo entrati in Europa carichi di tutto il peso del debito che avevamo accumulato. Anche per questo siamo cresciuti meno degli altri e non siamo ancora usciti dalla crisi del 2008. Adesso siamo entrati per primi in quella della pandemia. Non si può tornare al passato, ma nemmeno ripeterne gli errori. La crisi in atto comporta e comporterà costi enormi. L’emergenza impone le spese di cui si è già parlato. Ma con la pandemia che si è inserita in una crisi della globalizzazione e del vecchio modello di sviluppo si impone una transizione economica ed ecologica. E straordinari investimenti. Ed una visione se non globale sovranazionale.

E l’Europa deve essere altro da un puro assemblaggio di Stati nazionali dettato da interessi particolari perché si trova di fronte a una svolta non più rinviabile: deve assumersi direttamente la responsabilità di strumenti finanziari sovranazionali emettendo titoli di debito pubblico europeo garantiti dalla Bce. Se non basta la gravità di questa situazione ad imporre il salto di qualità vuol dire che il progetto è fallito. Non possiamo auspicarlo né provocarlo. L’Italia deve fare questa forzatura. E’ un rischio? Si ma è il rischio minore in questo momento.