Le vicende dello Studio Castiglioni, fondato nel 1936 e attivo per oltre sessantacinque anni, fino al 2002, sono la lente d’ingrandimento ideale attraverso cui rivivere il fenomenale percorso di nascita, maturazione e successo del design italiano, indissolubilmente legato alle figure dei sui grandi maestri (entro cui i Castiglioni occupano un ruolo di primissimo piano). Inizialmente condotto dai fratelli Livio (1911-’79), Pier Giacomo (1913-’68) e Achille (1918-2002), laureatisi in architettura al Politecnico di Milano, lo studio è infatti stato una vera e propria fucina in cui si è contribuito a forgiare l’immagine forte del made in Italy, grazie alla comprovata perizia dal vago sapore artigianale e alle innovazioni e invenzioni tecnologiche introdotte dai tre fratelli.

Alla loro lunga e complessa storia professionale è dedicato Il design dei Castiglioni Ricerca sperimentazione metodo, a cura di Dario Scodeller (Corraini Edizioni, pp. 264, e 40,00): nato come catalogo della mostra patrocinata nei mesi scorsi dal Comune di Pordenone con la collaborazione scientifica della Fondazione Achille Castiglioni, il volume è corredato da un impressionante racconto per immagini – principalmente foto d’epoca e disegni provenienti dall’archivio – che è indubbiamente una delle più interessanti raccolte dedicate ai Castiglioni apparse negli ultimi anni, e propone inoltre diverse chiavi di lettura critica: dalla ricostruzione del loro ruolo nella cultura italiana del design e in quella prettamente milanese di metà Novecento, alla riflessione sul ruolo della sperimentazione progettuale e produttiva; dall’apporto dell’imprenditoria illuminata al successo dello stile Castiglioni che affonda le proprie radici nel design anonimo, all’analisi di alcuni dei fenomeni più significativi per la loro carriera, quali la straordinaria serie di allestimenti per la Rai (1948-1969) o l’inestimabile apporto allo sviluppo del lighting design.

Figli di un proto-designer, come Achille amava definire il padre Giannino (diplomato all’Accademia di Brera e divenuto scultore monumentale dopo anni passati nel ruolo di disegnatore) e nipoti di un nonno, Giacomo, direttore di una fabbrica dedita alla produzione artistica di medaglie, i fratelli Castiglioni sviluppano da subito un notevole grado di familiarità con il processo industriale, che consente loro – fino al ’52 – di firmare insieme alcuni dei primi capolavori. Grazie allo spiccato interesse di Livio per suoni e luce, lui e Pier Giacomo ottengono l’incarico di allestire la Mostra dell’apparecchio radio alla VII Triennale di Milano (1940), in cui presentano venti prototipi di radiogrammofoni e radio compatte disegnati in collaborazione con Luigi Caccia Dominioni, di cui due – i modelli 547 e 303 – vengono acquistati e messi in produzione dalla Fimi-Phonola di Saronno divenendo archetipi, insieme alla macchina da scrivere Summa di Marcello Nizzoli per Olivetti, degli oggetti tecnologici in cui forma e comandi sono perfettamente integrati. Nominati consulenti dell’ANIE (l’Associazione Nazionale delle Industrie Elettroniche), Livio e Pier Giacomo vengono affiancati dal neolaureato Achille e con lui si dedicano, nel secondo dopoguerra, alla progettazione di padiglioni e installazioni fieristiche promosse da numerose aziende dei settori legati proprio all’ANIE: chimica ed energia prima, comunicazione poi. In questi anni, poi, instaurano intense collaborazioni con personaggi come Erberto Carboni, Max Huber, Giancarlo Iliprandi, Bruno Munari o Pino Tovaglia e, di nuovo alla Triennale, vengono consacrati maestri dell’exhibit design nelle edizioni del ’51, ’54 e ’57.

Dal 1952 Livio – divenuto consulente per Phonola e Brionvega – si dedica esclusivamente alla progettazione di apparecchi elettroacustici, cedendo il passo alla coppia formata dai soli Pier Giacomo e Achille che, fino alla scomparsa del primo nel ’68, regalerà al design italiano una lunga serie di successi. Tra questi, già nel ’56, l’aspirapolvere leggero Spalter per REM e i primi esperimenti nel mondo della progettazione di luci, favorito dall’incontro – fortemente voluto da Lucio Fontana – dei Castiglioni con l’imprenditore Dino Gavina fondatore dell’omonima azienda e di Flos. Questo sodalizio, in breve tempo, li porterà a disegnare la celeberrima lampada Luminator (1955), vincitrice di una delle prime edizioni del premio Compasso d’Oro di cui i Castiglioni si fanno promotori, insieme a Gio Ponti e agli altri membri della neonata ADI (l’Associazione Italiana per il Design) e che s’impegna in azioni volte a far riconoscere il ruolo del designer, come la conferenza presso il Chicago Institute of Technology in cui i fratelli presentano a professori e allievi – su tutti, Mies van der Rohe – i propri progetti (’59).

Fondamentale in questo periodo è anche la partecipazione alla mostra Colori e Forme della Casa d’oggi, che si svolge alla Villa Olmo di Como nel 1957 e che sancisce i cardini della poetica dell’abitare moderno, esplicitati dai Castiglioni in un magistrale allestimento che anticipa alcuni dei nodi del dibattito critico sul design: il ri-assemblaggio di oggetti o componenti esistenti, a formare nuovi arredi (prodomo delle tendenze tipicamente italiane poi note con i termini ready-made e re-design) come le celeberrime sedute Mezzadro e Sella; l’approccio ludico al progetto, che favorisca l’approccio dell’utente; il recupero della tradizione del design anonimo e dei rapporti proporzionali tra oggetto e misure dell’uomo. Un evento, la mostra comasca che, insieme all’allestimento della milanese Birreria Splügen Braü, splendido interno in cui tutto è disegnato dai Castiglioni – dai segnaposto alle spillatrici per la birra, dai lampadari ai servizi di stoviglie – consente ai due designer di produrre i prototipi da cui nasceranno le moltissime serie di oggetti degli anni a venire. Tra le quali non possono non essere citate le celebri lampade Taccia, Toio e Arco per Flos (1962).

Gli anni sessanta si concludono però con la prematura scomparsa di Pier Giacomo, cosicché spetterà al solo Achille tramandare gli esiti della ricerca progettuale e metodologica fin lì sviluppata. Non solo attraverso riconosciute icone del design realizzate fino agli anni duemila, ma anche grazie all’impegno profuso in qualità di docente prima presso il Politecnico di Torino, a cui approda nel 1969 dopo aver vinto il concorso per la libera docenza nella cattedra di Progettazione Artistica per l’Industria, e poi alla sua Alma Mater. A questa lunga fase della vita dello studio risalgono, per esempio, la lampada Parentesi (1971, sviluppata a partire da un’idea di Pio Manzù), la Gibigiana (1980), il tavolino Comodo (’88) o il mobile Joy per Zanotta (’90). Tutte opere che, dalla scomparsa di Achille nel 2002, hanno girato il mondo in mostre-evento, dagli Stati Uniti al Giappone, consacrando l’immagine del design Castiglioni come frutto di chiarezza compositiva, efficacia tecnologica e capacità comunicativa di un metodo progettuale che è in tutto frutto della sua sensibilità moderna, efficacemente riassunta in un’osservazione di Gavina: «questi oggetti – ha scritto nel ’92 – meglio di altri, possono farci comprendere come le grandi invenzioni siano quasi sempre collegate a una quotidiana pazienza, a una manualità appresa sul pezzo nelle botteghe artigiane e in anni di lavoro e in secoli di piccoli perfezionamenti».