Una data precisa ancora non c’è ma ormai è deciso: Giorgio Napolitano sarà il primo presidente della Repubblica ancora in carica a testimoniare in un processo. Per la precisione a quello in corso a Palermo sulla presunta trattativa tra una parte dello Stato e i vertici di Cosa nostra messa in atto per porre fine alle stragi mafiose che hanno insanguinato i primi anni ’90.
A decidere per il via libera all’audizione del capo dello Stato (che come previsto dalla legge si svolgerà al Quirinale) è stata ieri la corte d’Assise di Palermo, rispondendo così alla richiesta avanzata il 27 settembre scorso dalla procura siciliana di poter ascoltare Napolitano in merito ad alcune affermazioni fatte dall’ex consigliere giuridico del Colle, Loris D’Ambrosio, in una lettera allo stesso Napolitano. Pur venendo incontro alle richieste dei pm, i giudici hanno però messo dei paletti ben precisi alle domande che potranno essere rivolte a Napolitano.
La reazione del Colle non si è fatta attendere. Con una nota stringata l’ufficio stampa ha infatti reso noto che «si è in attesa di conoscere il testo integrale dell’ordinanza di ammissione della testimonianza adottata dalla Corte di Assise di Palermo per valutarla nel massimo rispetto istituzionale». Immediate anche le reazioni del mondo politico. Il ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri si è detta «perplessa» e ha definito «inusuale» la decisione di chiamare a deporre Napolitano, pur rimandando ogni giudizio a dopo la lettura delle motivazioni dei giudici. Sintetico anche il democratico Luciano Violante, che ha parlato di decisione «originale».
Siano dunque di fronte all’ennesima puntata dello scontro in corso ormai da mesi tra la procura siciliana e il Quirinale. E questa vota, contrariamente al passato, a spuntarla sono stati i pubblici ministeri. Che da Napolitano vogliono sapere soprattutto una cosa: cosa intendesse dire il suo ex consulente giuridico, morto nel 2012, quando scrisse di «essere stato considerato solo un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi» tra il 1989 e il 1993. A cosa faceva riferimento?
Salvo sorprese Napolitano dovrà quindi rispondere alle domande dei magistrati, ma nei recinti imposti dalla sentenza con cui nel dicembre scorso al Corte costituzionale ha sciolto il conflitto di attribuzione tra la procura di Palermo e il Quirinale: ammettendo la deposizione «nei soli limiti delle conoscenze del teste che potrebbero esulare dalle funzioni presidenziali e dalla riservatezza».
«Il presidente Napolitano non sarà ascoltato sul contenuto dei colloqui precedenti alla lettera inviata dal consigliere giuridico Loris D’Ambrosio il 18 giugno 2012 al Capo dello Stato», ha spiegato ieri il procuratore aggiunto di Palermo Vittorio Teresi, mentre per il sostituto procuratore Nino Di Matteo la tetimonianza del capo dello Stato «è pertinente come quella delle altre 175 persone citate».
Ieri i giudici hanno anche ammesso un’altra richiesta della procura: la trascrizione delle conversazioni telefoniche fra Loris D’Ambrosio e l’ex ministro degli Interni Nicola Mancino, che era intercettato dalla procura di Palermo nell’ambito dell’indagine sulla trattativa Stato-mafia.
Fra i testimoni della procura ci saranno anche il procuratore generale della Cassazione, Gianfranco Ciani, e l’ex capo della procura nazionale antimafia, oggi presidente del Senato, Piero Grasso, che ha già fatto sapere di avvalersi della prerogativa di essere sentito a Palazzo Giustiniani.