Nel XXV Canto del Purgatorio, Dante si chiede come si formi e permanga nell’oltretomba una parvenza corporea allorché, sopraggiunta la morte, il corpo, inerte e privo di vita, è destinato a corrompersi e tornare polvere. E si domanda come possa darsi, e restare, la puntuale effige che gli consente, nel suo viaggio oltremondano, non solo di vedere e riconoscere, ma di intrattenersi e conversare con i trapassati «trattando l’ombre come cosa salda» (Purg. XXI, 136).

«Ombre come cosa salda», cioè come viventi ancora, insieme a noi, vive in noi. Infatti, l’interrogativo che Dante si pone riguarda i modi, complessi e molteplici ma ineludibili, attraverso i quali manteniamo presenti e attive le relazioni sentimentali e intellettuali intessute con chi è scomparso. Dante si chiede quale nuova e diversa apparenza comporti lo scomparire e quale nuova presenza, o speciale forma di presenza, assuma entro di noi chi ci precede nella morte. In una nota di questa rubrica, richiamavo Zenone di Cizio che, interpellato l’oracolo «per sapere quale era il miglior modo di vivere», ebbe dal dio in risposta «mettiti in contatto con i morti». E Zenone, racconta Diogene Laerzio, «interpretò il senso di queste parole e si diede alla lettura degli antichi». Il lascito, il retaggio come elaborazione continua di consapevolezza. Nel caso del filosofo stoico, il contatto con il pensiero fissato in scrittura.

Ma nel poeta Dante questo contatto non si risolve intero nella proposizione scritta, formulata. Esso, potremmo dire, si svolge piuttosto animandosi in un conversare. La prossimità all’Ombra comporta un incontro che è prima evocazione visuale, sguardo e poi colloquio, parola. Così Dante traccia, indelebile per l’influenza culturale conseguita, una modalità del «contatto con i morti», intesi e configurati quali Ombre, suffragata da principi e ragionamenti teologici e filosofici e in continuità poetica con l’ascendenza classica e virgiliana. Ombre che, in Virgilio, permangono quali vite, «tenui vite senza corpo», «formae» che si muovono aleatorie «cava sub imagine», in cavo sembiante (Aen. VI 292-293).

Forme che prendono la loro profilatura e acquistano un contorno senza cancellare i tratti del corpo. Ne conservano anzi i connotati non solo dell’immagine, ma degli atti, delle attitudini e delle movenze indotte da una o altra emozione e suggestione. Dante apprende dalle parole de lo dolce poeta latino Publio Papinio Stazio il delicato e mirabile processo che, abbandonata l’anima la spoglia salma, «solvesi dalla carne» e si sublima in «corpo aereo». Restano così intatte, senza il gravame della materia effimera, le facoltà vegetative, sensitive e intellettive. Obsolete, in assenza del corpo e inoperose la sensitiva e la vegetativa. La facoltà intellettiva, ch’è la scaglia divina accolta in ciascun mortale, alimenta ora, integre nella loro piena e potente energia, «memoria, intelligenza e volontade/in atto molto più che prima agute». Ancor più di quand’era in vita la persona, è ora la sua ombra acuta, ovvero intensa, vivida. Profonda, lucida, sagace pur nell’acuminato dolore del lutto.

Così le Ombre appaiono a Dante in possesso di qualità vitali potenziate. Si legga, esse mostrano nella conversazione una consapevolezza limpida e perfettamente posseduta. E la loro figura, il loro aspetto presentano vivezza e intensità smaglianti. Sicché la parola e l’immagine formano nella loro congiunzione l’ombra come cosa salda. Si giunge così ad una inoppugnabile realtà, ad una effettiva presenza di chi, estinto, nella dimensione interiore ha vita e che, se ti volgi d’attorno, cerchi invano. D’attorno, per dir così, hai da trovare quella parte viva di te stesso che si alimenta del contatto con le Ombre. Il corpo aereo lo educhi entro di te. Esso è la indispensabile risorsa per chi si impegna nella coltivazione della memoria, della intelligenza, della volontà. Per dar conto del formarsi del corpo aereo, Dante ricorre alla immagine dell’arcobaleno, quando l’aere, «per l’altrui raggio che ’n sé si reflette/di diversi color diventa adorno» (Purg. XXV, 92-93). Decliniamo i versi in questo senso: assimiliamo i colori di chi ha intrattenuto con noi una conversazione che non si interrompe.