E se fossero proprio Palermo e Napoli, Bari e Cagliari il punto di caduta della discussione, per ora vaghissima, sul «green deal» europeo lanciato dalla nuova commissione europea?

Se si analizza la situazione del trasporto ferroviario nelle regioni del Mezzogiorno ci si rende conto che il drammatico ritardo è una questione quanto mai urgente da affrontare, e per ragioni che sono al contempo ambientali e di diritti dei cittadini. Di disuguaglianze nelle possibilità di muoversi come avviene nel resto d’Italia. Ad impressionare è che i dati negli ultimi dieci anni sono addirittura peggiorati; proprio mentre andava crescendo lo straordinario successo dei treni ad alta velocità al Sud la situazione è addirittura peggiorata e si sono ridotti gli intercity ed i treni regionali in circolazione, che già storicamente erano di meno.

Le corse di treni regionali in tutta la Sicilia sono ogni giorno 486 contro le 2.560 della Lombardia, una differenza di oltre 5 volte, quando a livello di popolazione la Lombardia conta «solo» il doppio degli abitanti siciliani. Al Sud i treni non sono solo di meno, ma sono più lenti e più vecchi (19,3 anni di età in media), con la conseguenza che muoversi tra Puglia e Calabria, o tra Palermo ed Agrigento, è praticamente impossibile in treno, a meno che non si abbia il tempo e la pazienza per sopportare ore passate tra coincidenze e ad aspettare convogli diesel perché larga parte delle linee non sono elettrificate. Questa situazione non è più accettabile, anche alla luce del fatto che ovunque in Italia in questi anni si è investito offrendo un servizio di qualità le persone hanno scelto di viaggiare in treno, in metro ed in tram. Questi temi e le sfide che si aprono alla luce della nuova programmazione dei fondi europei, sono stati al centro della presentazione del Rapporto «Pendolaria» di Legambiente.

In un quadro come quello raccontato occorre lasciare da parte le promesse delle grandi opere e mettere in campo un progetto che permetta davvero di muoversi tra città, porti e aeroporti delle regioni del Sud. L’obiettivo è di puntare ad avere quanto prima nuovi treni e con una maggiore frequenza lungo le direttrici fondamentali, mentre in parallelo procedono i cantieri di elettrificazione delle linee e di costruzione delle nuove tratte, come tra Napoli e Bari o tra Palermo e Catania. Oggi un progetto di questo tipo non solo non esiste ma manca completamente una regia degli interventi che permetta di far parlare chi gestisce i treni e chi la rete, che coordini i contratti di servizio pagati con fondi regionali oppure dallo Stato.

È ora il momento di accelerare con un progetto che parli di ambiente, di futuro e di lavoro. Oggi queste sfide si tengono assieme attraverso la possibilità di rilanciare l’attrattività di territori, oggi irraggiungibili, e di creare relazioni tra città e università, attività economiche e poli turistici che è alla base del successo dell’alta velocità tra Roma, Firenze e le altre città collegate ad un’ora di treno. È anche una prospettiva industriale, perché serviranno centinaia di treni che si potrebbero costruire proprio al Sud, grazie alle competenze che si trovano nelle fabbriche di Napoli e Reggio Calabria della ex Ansaldo Breda. La buona notizia è che anche al Sud esistono storie di successo che dimostrano quanto la mobilità sostenibile possa diventare una chiave di rilancio. Lo racconta la crescita dei passeggeri su metro e tram a Palermo, Catania, Napoli e Cagliari, o di quelli gestiti dalle Ferrovie Appulo Lucane in Puglia, fino alla nuova bellissima stazione di Matera o a quella di un luogo simbolo di riscatto come Scampia.

Le opportunità e le risorse europee per scegliere questa prospettiva di cambiamento ci sono. Ora la sfida che si apre è politica ed è nelle mani di un governo che potrebbe dare finalmente concretezza alle promesse sul Sud e sulla lotta ai cambiamenti climatici.