«O ci trasferiamo a 700 chilometri di distanza per 700 euro al mese o ci licenziano». È la coda velenosa del più grande licenziamento collettivo degli ultimi 25 anni. Dopo i 1.666 lavoratori di Almaviva Contact di Roma, ora tocca alle mamme che allora si salvarono perché in maternità. «La legge proibisce di licenziarci nel primo anno di vita dei nostri figli, ma ora l’azienda ci impone il trasferimento a Rende, in Calabria. E al momento molte hanno già scelto di dimettersi: in questo modo almeno avranno la Naspi, diversamente neanche quella. Ma noi non vogliamo rinunciare alla nostra dignità», racconta Lucilla che ha «un bambino di 6 mesi e mezzo» con lei nel passeggino. La vita di queste 43 neo mamme è già difficile da un pezzo: «Quando gli altri nostri colleghi sono stati licenziati, qualcuno ci ha considerati fortunati e privilegiati. In realtà abbiamo dovuto prendere le ferie maturate e poi perfino quelle pregresse, ora sono in congedo parentale al 30 per cento dello stipendio. In più se mi dimetto non ho neanche il diritto a rientrare nel progetto con l’assegno di ricollocazione dell’Anpal e della Regione Lazio per i licenziati», racconta Lucilla. «Un progetto che è una scatola vuota, va avanti da un anno senza corsi di formazione nè alcun ricollocamento avvenuto», spiega una collega.
Insieme a loro alla conferenza stampa organizzata dalla Cgil ci sono anche i colleghi di Milano. Lì due settimane fa i lavoratori hanno protestato contro l’accordo aziendale – firmato dalla sola Fistel Cisl – che prevedeva «all’articolo 4 un controllo a distanza minuto per minuto, più una flessibilità assoluta». Il referendum fra i lavoratori ha bocciato l’accordo con il 75 per cento (322 no, 107 sì). La ritorsione dell’azienda si è abbattuta su 65 lavoratori che sono stati trasferiti a Rende. L’intervento del ministro Calenda («Inaccettabile, sono licenziamenti mascherati») aveva bloccato il tutto. Ma Anna – uno dei 65 – smentisce: «Al momento io ho ricevuto solo la lettera che mi intima di presentarmi il 3 novembre alle ore 12 a Rende», racconta quasi in lacrime indossando la maglietta nero con su scritto «Non vi regalo la mia dignità».
In serata il ministro Calenda dopo aver ricevuto la stessa Almaviva ed Eni – senza sindacati – ha annunciato «il ritiro dei trasferimenti da Milano a Rende» e «la disponibilità di Eni a dare lavoro ai call center Almaviva».
Nel frattempo però Almaviva continua a delocalizzare e ad allargarsi. «Ha aperto tre call center in Romania e, come ramo d’azienda di Comdata, un call center a Cagliari», denuncia Riccardo Saccone Slc Cgil.
Nei prossimi giorni è atteso poi il pronunciamento del tribunale del Lavoro di Roma sulla causa intentata da oltre 200 licenziati Almaviva che hanno denunciato il viceministro Teresa Bellanova e la dirigenza di Almaviva per tentata estorsione per le pressioni effettuate sui rappresentanti sindacali. Gli stessi Rsu a quali il ministro Carlo Calenda imputa i licenziamenti.
Ieri Almaviva ha risposto sostenendo che per le 43 mamme «ha correttamente seguito gli adempimenti di legge», accusando «settori della Cgil» di «populismo deleterio». In realtà il sito di Roma è ancora aperto e vi lavorano 200 persone nell’information technology.
L’occasione della conferenza stampa ha permesso alla Cgil di fare autocritica rispetto al passato. Gli errori della segreteria Cestaro – sfiduciato dal direttivo Slc – hanno portato alla guida Fabrizio Solari, già segretario confederale della Cgil. L’aver accettato molti accordi al ribasso – Napoli e Palermo sono solo gli ultimi – ha dato la stura ad una corsa al ribasso su diritti e salario che si è interrotta solo a Milano. Ora parte la controffensiva: «Non possiamo scaricare sulle nostre Rsu la scelta fra accettare i ricatti o beccarsi il licenziamento – spiega Solari – . Lo strumento per evitare tutto questo esiste: è rinnovare il contratto nazionale delle Tlc che fissi i riferimenti nazionali e non permetta, come da Testo unico sulla rappresentanza, al contratto di secondo livello di occuparsi di costo del lavoro, ferie e anzianità. Anche la Cisl è d’accordo e l’applicazione sarebbe erga omnes senza la possibilità che altri sindacati possano firmare diversamente», chiude Solari.