La diversità tra i sessi è la condizione prima perché possa essere celebrato un matrimonio, che altrimenti deve essere considerato come un atto «inesistente». A stabilirlo è una sentenza del consiglio di Stato che va contro la decisione assunta da quei sindaci – primo fra tutti quello di Roma Ignazio Marino – di istituire un registro per la trascrizione delle unioni tra persone omosessuali celebrate all’estero. Una sentenza che riaccende le polemiche politiche, con la destra che ne approfitta per provare a bloccare definitivamente il ddl Cirinnà sulle unioni civili e molte associazione Lgbt che invece attaccano il giudice estensore, Carlo Deodato, per aver ritwittato alcune foto e prese di posizione delle «Sentinelle in piedi» in cui si afferma che «la nuova resistenza si chiama difesa della famiglia». «Ho solo applicato la legge in modo a-ideologico e rigoroso, lasciando fuori le mie convinzioni personali che non hanno avuto alcuna influenza», è la difesa dell’interessato.

La sentenza è un duro colpo per quanti si battono per il riconoscimento di eguali diritti tra coppie etero e omosessuali, ma può essere letta anche come un invito al legislatore a colmare una lacuna presente ancora oggi nell’ordinamento, per il quale due persone dello stesso sesso non possono essere considerate una coppia e quindi non possono sposarsi. «La differenza di sesso» tra gli sposi, spiegano i giudici, è la «prima condizione di validità e di efficacia del matrimonio».

L’unione celebrata all’estero per i giudici di palazzo Spada risulta quindi «sprovvista di un elemento essenziale (nella specie la diversità di sesso dei nubendi) ai fini della sua idoneità a produrre effetti giuridici nel nostro ordinamento». Un atto nullo quindi, anzi «inesistente» perché privo «di un elemento essenziale della sua stessa giuridica esistenza».

La sentenza affronta poi un altro punto, relativo alla legittimità del prefetto di Roma, all’epoca Giuseppe Pecoraro, di annullare le trascrizioni dei matrimoni gay contratti all’estero da parte del sindaco Marino. Una facoltà negata dal Tar del Lazio, ma riconosciuta invece dal consiglio di Stato che ha sottolineato «il potere di annullamento gerarchico d’ufficio da parte del prefetto degli atti illegittimi adottati dal sindaco, nella qualità di ufficiale di governo».

Un’interpretazione della legge, quella fatta dei giudici del consiglio di Stato, che non trova ovviamente d’accordo molte associazioni omosessuali. Che ricordano come alcune delle sentenze pure citate da palazzo Spada pongano la questione in maniera differente. Come il giudizio espresso dalla Cassazione che riconosce la validità dei matrimoni omosessuali celebrati all’estero riconoscendo che però non hanno validità in Italia per l’assenza di un istituto giuridico a cui agganciarli.

Oppure ricordando la sentenza della corte d’Appello di Napoli secondo cui se l’Italia trascrive il matrimonio contratto all’estero tra due omosessuali stranieri, non si capisce perché non debba riconoscere lo stesso diritto a due italiani. Per finire con la sentenza Oliari della corte di Strasburgo, secondo la quale alle coppie omosessuali va riconosciuto il diritto a una vita familiare.

«Le sentenze si rispettano e non si commentano, la divisione dei poteri è sancita in Costituzione», scrive in un tweet la senatrice Monica Cirinnà.

Ma è proprio il ddl che porta il suo nome (e che se approvato renderebbe la sentenza di palazzo Spada superata) a essere preso di mira dalle opposizioni di centrodestra. Come confermano le parole di Gaetano Quagliariello: «Bene il consiglio di Stato – dice l’ex coordinatore del Ncd -. La vera frontiera però è impedire che nuove leggi rendano possibili i matrimoni omosessuali in Italia o conducano al loro riconoscimento per via giurisprudenziale». «Il matrimonio è tra uomo e donna. Ora lo dice il Consiglio di Stato. Se Marino dava retta ad Angelino Alfano risparmiavamo un anno», gli fa eco Maurizio Lupi.

Opinioni con le quali non è d’accordo il costituzionalista Stefano Ceccanti che in un tweet ricorda come «la sentenza del consiglio di Stato rende ancora più evidente che è necessaria legge sulle unioni come chiesto dalla Corte costituzionale sin da sentenza 138/2010». Mentre alcuni parlamentari aderenti alla ReteDem alzano l’asticella ricondando come «nel disegno di legge sulle unioni civili oltre all’estensione alle coppie dello stesso sesso di tutti i diritti sociali oggi riservati alle coppie eterosessuali sposate, vi è un altro punto irrinunciabile: la possibilità di adozione del figlio naturale del partner».