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Trappole visive

Trappole visiveEscher

Mostre Escher tra surrealismo e razionalità geometrica a Palazzo Magnani di Reggio Emilia

Pubblicato quasi 11 anni faEdizione del 6 novembre 2013

È in corso a Reggio Emilia, in palazzo Magnani (visitabile fino al 23 febbraio 2014, la mostra di Maurits C. Escher, un olandese nato nel 1898 e morto nel 1972 che per le sue opere è conosciuto anche da molti che non ne hanno mai sentito il nome. La maggior parte delle sue opere, infatti, è diventata poster e puzzle, oggetti facilissimi da trovare nei negozi di giochi.
Forse Escher è apprezzato soprattutto come brillante inventore di figure complesse e paradossali. I cultori della pittura non trovano nei suoi disegni e nei multipli quell’aere che incanta, ma non possono evitare di vedere i punti interrogativi di una geometria che intrappola l’intelligenza. La trasformazione e l’instabilità sono i parametri del movimento degli oggetti cui si applica. Di lui si potrebbe dire che ha un interesse alle cose prossimo a quello che è stato di Morton Feldman: dell’intrecciarsi delle figure nei tappeti orientali in un ripetersi che complica, in maniera barocca, la stilizzata greca dell’Ellade.Feldman l’importa nel suono e immediatamente lo trasforma; Escher procede incastrando le figure l’una nell’altra in maniera che, alla fine, esse non siano più quel che erano.
Naturalmente è improbabile che Escher sapesse di Feldman, anche se l’opposto è possibile proprio per il carattere folk che alcune delle sue immagini hanno ottenuto. Folk perché questa conoscenza funziona come per alcune musiche che tutti conoscono, pur non sapendo a chi attribuirle e tantomeno da dove provengano.
Fino agli anni Trenta, Escher visse lungamente in Italia. I suoi disegni di questo periodo non accendono la fantasia: va a caccia del pittoresco e lo ridefinisce in un estremo ordine geometrico. Lasciato lo Stivale dove ormai s’era insediato il fascismo, tornato in Olanda, prese a disegnare quegli ipnotici giochi di trasformazione. Crebbe la qualità della sua arte, grazie al «contatto» con alcuni classici quali von Prenner, Bruegel, Lorenzetti; maturò e assorbì quel che aveva visto di Piranesi, così come di qualche futurista e sviluppò quall’intelligenza visionaria che gli permise di acquisire un tocco d’ironia surrealista. Fu questa la strada che lo condusse ad alcuni capolavori: la mano che ricalca se stessa che disegna, il Belvedere, la Cascata, Relatività, Su e giù, L’altro mondo, la Buccia.
Escher preferì essere un grafico. Riteneva di «avere dentro di sé qualcosa del trovatore che ripete in ogni stampa la stessa canzone, sia che provenga dal blocco di legno, sia dalla lastra di rame, sia dalla pietra litografica». «Non è molto importante – diceva Escher – se talvolta va perso un foglio, se si macchia o si spiegazza. Esistono abbastanza copie per portare avanti il pensiero. E anche se non ne fossero state eseguite tante, si può avere una nuova tiratura, e ognuna delle copie sarà egualmente impeccabile, originale e completa, sempre che la matrice sia rimasta intatta». «Che differenza con il principio dell’unicità, caratteristico della pittura!», concludeva poi, senza pensare anche alla fruibilità, sostanzialmente alla non privatizzabilità dell’opera. Il grafico realizza un bene pubblico, un bene comune.

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