Il 16 marzo scorso Igor Dodon, il presidente moldavo in carica, intervenendo al Forum Economico di Baku ha espressoun certo ottimismo per quel riguarda il conflitto che oppone il suo paese alla repubblica autoproclamata della Transnistria da oltre 25 anni. “La soluzione è vicina – ha dichiarato Dodon – anche perché “le parti comunicano tra loro”. Si tratta però per ora più che di un obiettivo a portata di mano, di una dichiarazione d’intenti. Perché quella lingua di terra, si colloca all’interno di uno scontro geopolitico più ampio, e anche se può far sorridere, addirittura mondiale.

Tra la Moldavia e Transnistria, esiste un dialogo e una trattativa in corso dal 2010 attraverso un gruppo di contatto denominato “5+2” che coinvolge oltre alle parti in conflitto Russia, Ucraina, OSCE, mentre Usa e Ue sono osservatori (a cui si dovrebbe aggiungere il convitato di pietra Romania, visto che il governo di Bucarest è da tempo interessato ad annettersi la Moldavia).

Le trattative si svolgono a rilento. In primo luogo le parti in conflitto non hanno rinunciato alle loro posizioni di principio: la Moldavia chiede la reintegrazione della regione nei suoi confini in cambio di un’ampia autonomia mentre la repubblica “de facto” continua a pretendere l’indipendenza, viatico all’integrazione nella Federazione Russa. Una pretesa di difficile realizzazione: la Transnistria infatti non confina con la Russia ma solo con la Moldavia a est e l’Ucraina a ovest. Una condizione del tutto simile a quella della Crimea anch’essa senza frontiere comuni con la Russia. Non è un caso che quando la Crimea venne annessa dalla Russia anche la Transnistria chiese l’adesione alla Federazione. E se la Russia rifiutò per evitare di aggravare le tensioni con l’Occidente e per le evidenti differenze storiche e strategiche con la penisola crimeana, ciò fece solo irritare Chisinău che vide in quella mossa di Tiraspol un tentativo di giungere, grazie alle tensioni in Ucraina, a una integrazione unilaterale con Mosca. Il dialogo è poi ripreso ma la reciproca diffidenza ha fatto fare modesti passi avanti. Nel 2016 sono stati firmati i cosiddetti “Protocolli di Berlino” che hanno portato al riconoscimento da parte moldava dei diplomi conseguiti nella “repubblica ribelle”, alla registrazione delle automobili circolanti in Transnistria e allo sblocco delle telecomunicazioni tra i due paesi: nulla più.

La Transnistria ha conosciuto negli anni scorsi una severa recessione economica causata dalla riduzione delle esportazioni e dalla riduzione del prezzo del gas naturale. Secondo la Banca mondiale la piccola repubblica ha visto calare la sua produzione industriale rispettivamente del 6 e del 8% la sua produzione industriale nel 2015 e 2016, le esportazioni del 15% mentre il suo l’interscambio economico si è ridotto del 20 e del 25%. La situazione del paese è complicata da altri elementi oltre che dalla sotterranea instabilità politica tipica di molte realtà post-sovietiche e dalla sua dipendenza dai prestiti a fondo perduto russi. Secondo il professor Andrey Devyatkov dell’Università Lomanosov di Mosca “è comunque la Moldavia a garantire ai confini che le merci siano conformi all’Accordo di Associazione dell’Unione Europea” e quindi in grado di condizionare in prospettiva qualsiasi tentativo della Transnistria di sviluppare il proprio export verso l’Occidente. Una politica dello status-quo e di attesa, in teoria, chiuderebbe a tenaglia il paese tra Moldavia e Ucraina impedendole di aver un reale sviluppo economico.

Senonché l’agenda politica internazionale ha anch’essa le sue scadenze. In Moldavia esiste una difficile coabitazione istituzionale tra un governo filo-occidentale e il presidente socialista Igor Dodon che invece auspica un riavvicinamento con Mosca. Le prossime elezioni parlamentari moldave di novembre potrebbero innescare ulteriori tensioni visto che una parte delle forze filo-occidentali si è schierata per la riunificazione della Moldavia alla Romania da cui è separata dal 1939 in seguito ai protocolli segreti del patto Ribentropp-Molotov. A Chisinău la scorsa settimana si è tenuta una grande manifestazione unionista in cui 119 cittadine moldave hanno dichiarato la loro volontà di entrare a far parte della Romania entro l’anno. Una soluzione che ovviamente il Cremlino vede come fumo negli occhi: la Romania è oggi è uno degli avamposti della politica aggressiva della Nato nei confronti di Mosca. Tale eventualità, a cui si devono aggiungere che le difficoltà a implementare gli “accordi di Minsk” nella guerra del Donbass ucraino potrebbero riaprire improvvisamente la questione della Transnistria, facendola diventare per Mosca un cuneo filo-russo tra Chisinău e Kiev o uno strumento per una più ampia ricomposizione in tutta la regione.