Staying with the Trouble. Making Kin in the Chthulucene (2016) di Donna Haraway è la voce di una nuova ecologia che mette sotto accusa il dominio umano su questo pianeta e la parte attiva che capitalismo e imperialismo hanno avuto nella sua devastazione, a cominciare dalle cosiddette scoperte del nuovo mondo e dal sistema delle piantagioni nei regimi schiavisti sette-ottocenteschi che alla rapina dei corpi affiancavano la violenza sulla terra. Il titolo del libro si riferisce all’arte di vivere in un tempo profondamente disturbato, di sopravvivere nel disagio, coesistere con le rovine. L’autrice insiste su «restare a contatto con il problema» anziché evaderlo e la strada può essere trovata in un modo di vivere insieme.

COME DIMOSTRANO gli organismi cellulari endosimbiotici all’origine della vita, abbiamo bisogno gli uni degli altri in una simbiosi obbligata. «Making Kin» si riferisce al creare comunità, legami, connessioni inventive, parentele imprevedibili e impreviste, con una parola assemblante che parla di solidarietà al di là del futurismo riproduttivo.
Al presente di antropocene, capitalocene e piantagionocene, Haraway contrappone chthulucene – nome di un altro luogo e di un tempo che era, ancora è, e ancora potrebbe essere – che prevede poteri e processi terreni non più solo umani.

GIUNGE ORA IN ITALIA, per le edizioni Nero, l’opportuna pubblicazione del libro, con l’esclusione di tre capitoli, nell’elegante traduzione di Claudia Durastanti e Clara Ciccioni, tanto più notevole per le difficoltà insite in un testo che nell’aprire a nuove possibilità di vita su questo pianeta ricorre a un vocabolario inventivo, di natura simbiotica, tra concettuale e immaginario. Il titolo, Chthulucene. Sopravvivere su un pianeta infetto (pp. 283, euro 20), parte dall’ultima parola dell’originale, scegliendo di sottolineare l’aspetto utopico o piuttosto il messaggio di speranza per un futuro diverso.
Ogni traduzione è un transito, un cammino tra lingue, luoghi e culture, che si avventura tra fedeltà e inventiva, vicinanza e allontanamento, timore e audacia. Nella sua introduzione, Durastanti dice che ogni termine usato da Haraway è «una sfida e un rischio», sottolineando che l’italiano è lingua poco adatta alla «umosità» e che la traduzione si è trovata di fronte alla scelta di disambiguare le parole o preservare l’ambiguità insita nel vocabolario usato dall’autrice.

Il libro stesso propone un transito, un viaggio tra questo mondo danneggiato e uno in cui il danno trovi una guarigione pratica, un’arte della sopravvivenza come dice Anna Tsing, re-immaginando la ricchezza di risorse sommerse e obliterate dal profitto e dalla corruzione e costruendo luoghi di quiete in questi tempi «confusi, torbidi, inquieti». L’unione di tutte le creature terrestri crea una nuova possibile socialità tra organismi inter- e intra-specie che travalicano tempo e spazio, realtà e arte, genere e sesso, tecnologia e immaginazione. La narrativa, in particolare la fantascienza, offre un veicolo prezioso. L’autrice parla di symfiction, «il genere narrativo proprio della simpoiesi e della sinctonia, l’unirsi di tutte le creature terrestri», a proposito dell’ultimo capitolo, l’unico di carattere creativo e mai pubblicato prima che presenta cinque storie immaginarie.
L’itinerario del libro si dipana nel passaggio dal mondo naturale a quello fantastico e simbolico. Chtulucene è l’epoca del ragno, per il riferimento al Pimoa Chtulu, un aracnide californiano; la sua ragnatela richiama sentieri e causalità mai deterministiche, ma anche fili e stringhe, nodi che si sciolgono per crearne altri, come nel gioco del ripiglino.

DA RAGNATELA si passa a tentacolo con gli invertebrati: polpi, calamari, totani, e meduse. La medusa merlettata da un lato suggerisce il corallo e la barriera corallina, simbiosi animale e vegetale, e dall’altro il femminile, con merletti e tessiture, «talismani e geroglifici» di altri mondi. La simbiosi è altresì fondamento delle figure mitologiche, le cui icone dominano l’immaginario di Haraway con i loro assemblaggi.
Il tentacolo è immagine potente e ricorrente nel libro, con il suo movimento verso l’altro da sé, e le sue qualità multiformi, sottolineate dalla ricchezza semantica: tentare, toccare, sentire tra umano, macchina e natura, ma anche pensare. Ad accompagnarla nel pensiero tentacolare, ci sono biologhe, antropologhe, narratrici, filosofe, da Anna Tsing, Lynn Margulis, Isabelle Stengers, Vinciane Despret a Ursula Le Guin e Octavia Butler. Il «pensiero tentacolare» disegna figure concatenate, come la fantascienza, che narra trame di mondi e tempi possibili, materiali-semiotici, passati, qui, ancora a venire. Le Guin e Butler sono autrici di fantascienza speculativa, favole per pensare, per capire, in cui fantastico e immaginario non sono separati dal pensiero. «I fatti scientifici e la fabula speculativa hanno bisogno gli uni degli altri e entrambi hanno bisogno del femminismo speculativo». È un femminismo senza illusioni sulla tecnologia ma nemmeno preclusioni.

LE FABULE SPECULATIVE che concludono il libro mostrano creature che attraversano i secoli a venire, creature ctonie immerse in un «humus multispecie» e non estranee al rischio di errori politici o ecologici: «fanno e disfanno, vengono fatte e disfatte». Sono organismi composti, intergenetici e intersessuali, nel testo originale lasciat* nell’ambiguità che la lingua inglese permette. L’autrice usa il prefisso «per» a indicare persone, sulla scia del bel romanzo di Marge Piercy Women on the Edge of Time (1976), e il nome intersex Camille che permette di mantenere la neutralità, una via impervia nell’italiano che le traduttrici hanno deciso di non seguire a tutti i costi.

Per-Camilles sono frutto di una congiunzione biogenetica dell’umano con animali non umani, come le farfalle monarca che sono a rischio di estinzione, e attraversano cinque generazioni dipanando una genealogia che recupera il passato dei vari presenti. Arte e scienza vi si intrecciano poiché la loro biologia compostista ha bisogno delle storie, tra cui libri e storie per bambini, videogiochi per tutti, narrative di ogni epoca e tipo, un immaginario che connette la tecnologia all’arte tessile indigena o a movimenti femministi radicali.

IN UNA INTERVISTA che Haraway ha concesso a Sarah Franklin, emerge la centralità della funzione del compost, per la sua interazione tra elementi vegetali, animali e inanimati, tra vita e morte, in un miscuglio prevedibile e imprevedibile allo stesso tempo: Haraway vi ravvisa un’etica del quotidiano e propone che il termine «human-ities» sia sostituito da «humus- ities». Per-Camilles ricordano con le loro storie la funzione della narrazione nel costruire corridoi lungo i quali pensare e fantasticare. L’importanza di tali corridoi per le donne è sottolineata da Hannah Arendt e Virginia Woolf, ripetutamente citate nel libro. La prima con il concetto di «andar visitando» con l’immaginazione, esplorare con il pensiero; la seconda con il suo imperativo «Think we must, we must think», pensare dobbiamo, dobbiamo pensare, che da Tre ghinee in poi ha ispirato il pensiero femminista di un secolo.