«C’é bisogno delle radici per cambiare il sistema». Questo lo slogan di Grassroots Global Justice (GGJ), un’alleanza nazionale di gruppi di base statunitensi, focalizzata sulla costruzione di una piattaforma a sostegno del diritto al lavoro e le tematiche riguardanti la comunità svantaggiate e il territorio. «Sappiamo che vi sono importanti collegamenti tra questioni locali e il contesto globale – hanno dichiarato alla stampa nel loro comunicato – e ci vediamo come parte di un movimento internazionale per la giustizia globale». Fondata nel 2005 a Sant Antonio, in Texas, GGJ comprende oggi più di 55 organizzazioni, con decine di relazioni con i movimenti sociali internazionali. Sono stati un elemento chiave nella costruzione del Climate Justice Alleance e hanno collegato più di 500 organizzatori di base americane con le controparti internazionali in Messico, Sud America, Asia, Africa occidentale e nei Caraibi.

Per le elezioni 2016 hanno costituito la «Carovana del Popolo», partita da Cleveland, Ohio, subito dopo la convention nazionale repubblicana, dove hanno dato vita alle manifestazioni più scenografiche, come quella del muro contro Trump, fino ad arrivare a Philadelphia, alla convention democratica, facendo tappa a Pittsburgh e Baltimora per costruire contatti con le organizzazioni locali che si occupano di giustizia razziale, ambientale e diritti dei lavoratori. Sono parte della carovana una cinquantina di comunity leader provenienti principalmente dagli Stati uniti e dall’Honduras, e a Philadelphia organizzeranno un’azione creativa che chieda giustizia per Berta Cáceres, leader degli indigeni dell’Honduras a capo del Consiglio Civico di Organizzazioni Popolari e Indigene dell’Honduras (COPINH), assassinato nel marzo di quest’anno proprio a causa della sua attivitàa a sostegno dei diritti degli indigeni e del territorio, e per protestare contro le multinazionali ed i governi che ne sono asserviti.

La pratica di una carovana di sinistra che si sposta capillarmente sull’immenso territorio americano non è nuova; nel 2012 anche Occupy Wall Street aveva compiuto un lungo percorso partito per tutta la costa est con incursioni al centro del Paese. Serve per guardarsi in faccia, per farsi conoscere al di là delle descrizioni dei media. Il messaggio di GGJ verrà portato ad entrambi i partiti in quanto, come dichiara la GGJ stessa, «non importa chi sarà il nuovo presidente, le tematiche con cui si dovrà confrontare saranno le stesse, e loro faranno in modo che non possa evitare di confrontarcisi». Certo, che se una delle istanze proposte è quella sui diritti degli immigrati messicani, avere come interlocutore Clinton o Trump, non è esattamente la stessa cosa e di questo c’è consapevolezza. Ma il principio rimane inalterato. Durante le convention politiche americane del 2016, così come ad ogni convention per le presidenziali, si vede un po’ qual’è lo stato dei movimenti, e delle pratiche di protesta.

Che la tendenza americana sia decisamente quella non violenta ma spettacolare è ormai chiaro, ma, negli ultimi anni, nel movimento si è fatta largo un’altra tendenza e prevede sperimentazioni tecnologiche, un vero mutamento del linguaggio.

Nel 2011 si erano visti, a Zuccotti Park, i primi livestream, le dirette video trasmesse in rete tramite un telefonino e una connessione veloce; durante gli scontri di Baltimora abbiamo assistito all’utilizzo massivo di Periscope, lanciato da Twitter il mese prima. In queste convention ecco l’avanzata della tecnologia del video panoramico, con una prospettiva di visione a 360 gradi.

«Questa tecnologia è ancora troppo nuova e ci sono ancora problemi su come gestirla e veicolarla» ha twittato dall’Ohio Tim Pool, dove si trovava per la convention repubblicana, il più noto degli «hacktivisti», così come viene definito, operando una crasi tra il termine attivista e il termine hacker. Tim, ai tempi 25 enne, era diventato famoso durante una diretta livestream di 17 ore che aveva trasmesso lo sgombero di Zuccotti Park da parte della polizia di Bloomberg. Il livestream era agli albori e si limitava a mostrare immagini in diretta. Tim Pool è andato oltre, commentando ininterrottamente ciò che stava filmando, descrivendone l’odore, i sentimenti, interagendo con le persone che riprendeva e dopo qualche ora anche con chi lo stava guardando («Non voglio smettere di riprendere ma ho fame, qualcuno mi porta un panino o una banana?»).

Pochi mesi dopo Tim era a fare lezione di linguaggio è tecnica nelle università di giornalismo di mezza America, primo caso di un «citizen journalist», un «cittadino giornalista», che ha creato la forma a cui si è adeguato il giornalismo mainstream. Dopo Baltimora e il suo utilizzo di Periscope è diventato evidente come, in ogni redazione, sia ormai indispensabile avere un esperto della comunicazione social in grado di gestire questo tipo di tecnologia, e il mancato golpe turco ha reso ancor più chiaro l’importanza di questi mezzi più di qualsiasi trattato sul tema.