Nella sua dimensione d’ascolto, la musica incontra quotidianamente ampie schiere di fruitori più o meno consapevoli, fornendo un esempio di comunicazione efficace e trasversale. Non accade lo stesso per la sua dimensione letteraria: parlare di musica è ancora un lusso riservato a pochi, in qualche modo una pratica di nicchia, per una élite di competenti, o un pubblico militante.

Ad accrescere questo fenomeno interviene il tono specialistico di un gran numero di pubblicazioni spesso orientate, per lecita scelta autoriale, ad approfondire questo o quell’argomento, a discapito di una visione d’assieme e storicamente consequenziale della vicenda musicale. In direzione atipica, almeno sotto questo profilo, si è mosso Raffaele Mellace per scrivere Il racconto della musica europea (Carocci, pp. 560, euro 45,00), la cui plausibile ambizione è quella di tracciare un percorso storico scandito dalle presenze dei grandi compositori (da Corelli e Bach fino a Rachmaninov e Stravinskij).

A rendere unitario questo volume sta l’evidenza di rapporti assidui (formali, storici, stilistici, filosofici) tra epoche e nomi. Questa particolarità, che per certi versi trova riferimento ideale e ineludibile nella Storia della musica di Massimo Mila, finisce col regalare al libro di Mellace vari e diversi livelli di fruizione: l’esperto di musica potrà aggiungere ai propri un ulteriore strumento di consultazione al riparo dai rischi della superficialità; all’appassionato curioso – ché la curiosità è gran dote – l’autore apre una via di conoscenza gradevolmente percorribile senza eccessivo timore reverenziale.

Ciò che conta, qui e altrove (senza limitarsi al solo ambito europeo) è riuscire a mostrare quali e quante stimolanti connessioni esistano tra il pensiero musicale e l’ambiente che lo origina: sembra una banalità, ma è il principio da tenere a mente per riporre, magari definitivamente, l’esclusione che comporta il concetto di élite.