Buona parte dei racconti brevi di Juan Carlos Onetti, scritti fra gli anni trenta e il 1974, alla vigilia del trasferimento da Montevideo a Madrid, in conseguenza delle minacce dei militari che si erano da poco impadroniti del potere in Uruguay, è raccolta in Triste come lei (Sur, traduzione di Angelo Morino, pp. 348, euro 16,00) la cui prima edizione italiana risale al 1981 per Einaudi. Il tempo è molto dilatato: si va dagli anni della giovinezza di Onetti, quando le sue narrazioni erano influenzate tanto dal surrealismo imperante all’epoca quanto da scrittori già affermati come Borges o Roberto Arlt (con ognuno di loro fingeva di essere un ammiratore dell’altro), fino ai racconti maturi, ambientati nella città inventata di Santamaria, coevi dei grandi romanzi degli anni sessanta e settanta. In questi decenni, Onetti andava mettendo a punto – nell’affermare scelte e punti di vista su cosa raccontare e come – un rigore e una coerenza davvero impressionanti.

I racconti contenuti in Triste come lei raggiungono esiti diseguali, ma già negli anni cinquanta era chiaro come andasse prendendo forma quell’inconfondibile atmosfera di Onetti, che apparentemente e in modo paradossale nega il concetto formale di «stile»: una atmosfera pervasa da un lucido e quasi insopportabile pessimismo, dalla onnipresenza della morte e del nonsenso del comportamento umano viene rinchiusa in uno scenario urbano che sarebbe diventato leggendario. Quello di Onetti è un territorio letterario concettuale, non descritto mediante procedimenti realistici ma comunque dotato di una fortissima materialità, che arriva a noi attraverso il fluire interiore dei pensieri dei protagonisti, un contingente di personaggi che scompaiono e riemergono – vivi o fantasmatici – nei diversi romanzi e racconti nel corso degli anni e dei decenni.

E ricompaiono, nel succedersi dei racconti, anche i luoghi, l’albergo, il bar, la redazione del giornale, tutti palcoscenici di una rappresentazione infinita dove non esistono il presente, il passato, il futuro, giacché i personaggi di Onetti hanno con il tempo un rapporto sincronico, quasi privi come sono di una storia non immediatamente riferibile al contesto di una narrazione che accomuni pressoché tutti i racconti e i romanzi dello scrittore uruguayano.

D’altra parte, la forma-racconto di Onetti non rispetta i comandamenti resi famosi da Quiroga, da Borges o da Bolaño. Interrogato spesso sul suo metodo di lavoro, lo scrittore sembrava rifiutare il concetto stesso di metodo, anche se non si dilungava molto sulla questione, schivo e laconico com’era, oltre che burlone. Non mancò però di alludere alla propria esperienza, come quella volta in cui affermò di non avere mai avuto una relazione coniugale con la letteratura simile a quella che imprigionava alcuni autori famosi, e di essere portato invece a un rapporto illegale, quasi clandestino, con la scrittura, esercitata a orari irregolari quasi sempre notturni, mentre era sdraiato sul letto. Diceva anche di non potersi fare quasi mai un’idea precisa di come sarebbe andato avanti un racconto o un romanzo una volta iniziato. Sono, naturalmente, dichiarazioni da prendere con cautela, vista l’impronta inconfondibile della sua prosa, che tutto denuncia tranne l’improvvisazione.

Spesso si è detto della difficoltà di lettura dei racconti di Onetti. Contravvenendo alle regole del genere, in effetti, le pagine iniziali si preoccupano di nascondere più che di mostrare le carte in tavola, di confondere più che di chiarire i rapporti fra i protagonisti, in genere uomini e donne loschi di oblique intenzioni, quasi sempre invischiati in relazioni amorose terminali. Il depistaggio viene giustificato dal narratore – in prima o in terza persona; anche nella narrazione oggettiva, tuttavia, Onetti riesce a creare l’impressione che ogni gesto e ogni comportamento sia una variante dell’enigma – da cui l’impossibilità ontologica del processo che porta alla conoscenza.

Dice un personaggio: «Per me, lo sapete, i fatti nudi e crudi non significano niente. L’importante è quello che contengono o quello che comportano; e poi constatare cosa c’è dietro una cosa e dietro ancora fino al fondo definitivo che non raggiungeremo mai». Mentre la triste sicurezza di un ambiente sociale omertoso detta a un altro protagonista queste parole: «E noi in salvo, muniti del permesso d’ignoranza e d’oblio, noi, Santa Maria tutta, protetti dal quadrilatero dagli alti muri, tranquilli e ironici, capaci di non credere al biancore lontano, assente, alla striscia bianca deambulante sotto la bianchezza sempre maggiore della luna tonda o cornuta». In molti casi, il senso della trama si rivelerà al lettore e ai personaggi stessi soltanto verso la fine del racconto, di solito un finale drammatico, luttuoso e inaspettato che conferma ancora una volta, come sostiene una voce narrante, che «il disinganno, la tristezza, nel momento di dire sì alla morte, potevano essere sopportati soltanto perché, capricciosamente, il gusto dell’uomo rinasceva nella sua gola a ogni incrocio di strada in cui lei lo chiedeva e ordinava».

Colpisce sempre in Onetti il suo modo di raccontare i rapporti di coppia, così lontani dagli stereotipi di felicità e infelicità. La relazione amorosa, che è per lui il centro dei conflitti su cui vale la pena scrivere, a differenza dei litigi famigliari, propone un enigma tragico e ineluttabile, un destino necessariamente fallimentare; ma il lettore, come l’autore, deve procedere escludendo opzioni per farsi strada verso un qualche snodo della storia. Tuttavia la trama trattiene a lungo la rivelazione del mistero, il tempo si ferma per rimandare la fine e così esplorarne il senso. Questo gioco magistrale con la pazienza del lettore si mostra all’altezza dei grandi classici che ispirarono Onetti, ovvero Poe e Faulkner tra i primi.
Lo scrittore e saggista messicano Juan Villoro ha osservato come Onetti proponga una sorta di staticità dei personaggi che costringe a riflettere, e ad approfondire il racconto. E aggiunge: «In un genere determinato dalla concisione, Onetti odia tutto ciò che è definitivo, congegna racconti che sono innanzitutto un precedente, una preparazione di qualcosa che sarebbe meglio non succedesse. Da ciò deriva la dilazionata durata immaginaria di queste storie».

Onetti è senza dubbio uno degli scrittori più dotati fra i tanti che germinarono nell’area del Rio de la Plata nella prima metà del ’900. Una parte importante delle sue energie creative le dedicò al genere del relato, il racconto breve che per un lungo periodo godette di grande prestigio letterario in America latina, prima che l’industria editoriale lo emarginasse per ragioni di mercato. A questa tradizione, all’humus culturale rioplatense fatto della sostanza urbana tipica di una modernità novecentesca popolata da individui desolati, falliti e tuttavia posseduti da urgenti passioni e complessi sentimenti di odio e rancore, oltre che da una inattesa capacità di riflessione e pensiero critico, appartengono questi racconti di Onetti che ci permettono di leggere o rileggere uno dei grandi protagonisti di una stagione letteraria che forse non vedremo più.