La storia finisce così: la sesta sezione penale della Corte di Cassazione ha confermato la condanna a dodici anni per Luca Traini, il militante della Lega che la mattina di sabato 3 febbraio 2018 sparò e ferì sei migranti a Macerata. Strage aggravata dall’odio razziale è il reato ipotizzato sin dalle primissime battute dalla procura di Macerata e in grado di resistere fino alla sentenza di terzo grado.

La Cassazione ha anche stabilito il diritto al risarcimento per le vittime e per le parti civili, ovvero il Comune di Macerata e la sezione cittadina del Pd, visto che Traini esplose alcuni dei suoi colpi anche contro la sede locale del partito, in quel momento fortunatamente vuota. Il punto del dibattito di fronte ai giudici della Cassazione riguardava la definizione del reato di strage e l’aggravante del razzismo.

«È corretto definire strage ciò di cui ci stiamo occupando oggi – ha detto il pg Marco Dall’Olio nella sua requisitoria –, Traini voleva uccidere un numero indeterminato di persone. Come dimostrato dalla sequenza impressionante di colpi, 17 bossoli e 14 frammenti di proiettili rinvenuti, sparati a distanza ravvicinata, ad altezza d’uomo e rivolti verso persone, esercizi commerciali e anche verso la sede di un partito». L’odio razziale si spiega da solo: le vittime di Traini avevano tutti la pelle nera.

È sulla base di questo elemento che ha sparato. «Nel comportamento di Traini non c’è odio razziale – ha detto però Franco Coppi, legale di Traini e, in passato, anche di Andreotti e Berlusconi –, i neri vengono identificati da lui come i responsabili dello spaccio di droga in provincia di Macerata, e come responsabili della morte di Pamela Mastropietro. Potevano essere anche gialli o pellerossa, e il discorso sarebbe stato lo stesso». Traini, secondo Coppi, «ha voluto ergersi a vendicatore in preda a un raptus emotivo di cui si dovrebbe tenere conto».

Alla fine i giudici hanno respinto ogni istanza della difesa, confermando che quella di Macerata è stata una strage compiuta nel nome del razzismo. Non è un caso, d’altra parte, che poi Traini sia diventato una sorta di beniamino dell’alt-right mondiale: quando, nel marzo del 2019, a Christchurch il suprematista bianco Brenton Tarrant uccise a colpi di mitra 51 persone in una moschea, tra i nomi dei suoi ispiratori scritti sui caricatori c’era anche quello dell’attentatore marchigiano.

Pamela Mastropietro, indicata come movente dell’azione di Traini, è la ragazza brutalmente uccisa e fatta a pezzi a Macerata pochi giorni prima della strage. Per quei fatti è stato condannato a trent’anni il nigeriano Innocent Oseghale. La ragazza, scappata pochi giorni prima da un centro di recupero per tossicodipendenti della provincia, era arrivata in città e lì incontro Oseghale, che la uccise a casa sua, tagliò il suo corpo a pezzi, lo sistemò in due valigie e poi lo abbandonò lungo l’asse industriale. A trovarlo ci è voluto molto poco: per portare le valigie a destinazione, Oseghale aveva chiamato un taxi e il conducente, insospettito dalla situazione, dopo aver riportato l’uomo in città, tornò indietro a controllare e fece così la macabra scoperta.

Partito dalla sua casa di Tolentino con una pistola Glock, nel cuore della mattinata del 3 febbraio, Traini cominciò a girare in macchina per le strade di Macerata sparando a tutti i neri che incrociava. Ne ferì sei. Braccato da polizia e carabinieri, alla fine, il ragazzo si è fatto arrestare di fronte al monumento ai caduti mentre gridava «Viva l’Italia» con il braccio destro teso.

Macerata uscì a pezzi da questa storia: malgrado la grande manifestazione antifascista (trentamila persone in corteo) della settimana successiva, alle elezioni politiche di marzo calò la mannaia della Lega a fare piazza pulita dei consensi in una città tradizionalmente cattocomunista. Il trend non si più invertito: alle regionali qui la destra ha fatto cappotto e anche il Comune è stato preso dal partito di Matteo Salvini, con una roboante vittoria al primo turno sui resti di un centrosinistra sfilacciato, impaurito e infine completamente sbandato.

Basti dire che, alla manifestazione antifascista, il partito, allora guidato da Matteo Renzi, si rifiutò di partecipare, marcando una distanza ancora non sanata con il fronte antifascista e antirazzista.