Sono servite quattro ore di camera di consiglio alla Corte d’Appello di Ancona per confermare la sentenza di condanna a dodici anni per Luca Traini, il trentenne militante leghista che il 3 febbraio de 2018 a Macerata aprì il fuoco e ferì sei africani. La difesa dell’uomo puntava a far cadere l’accusa di strage e l’aggravante dell’odio razziale, chiedendo inoltre le attenuanti generiche, una nuova perizia psichiatrica (la prima lo ha dichiarato ben capace di intendere e di volere) e la concessione degli arresti domiciliari. Istanze che sono state respinte in toto e adesso manca solo la Cassazione per scrivere la parola fine a questa vicenda, almeno sul piano strettamente giudiziario.

Traini si è presentato in aula in jeans, camicia bianca e giacca scura. Sopra il sopracciglio destro campeggia ancora il tatuaggio della zanna di lupo, simbolo usato dalle Ss e in seguito anche da diversi gruppi neonazisti e neofascisti.

Quando i giudici sono usciti per leggere la sentenza è rimasto impassibile, poi, mentre le guardie penitenziarie lo stavano portando via, ha trovato anche il tempo per concedersi ai cronisti. «I giudici hanno fatto il loro lavoro – ha detto Traini -, adesso però mi aspetto anche la verità per Pamela, Oseghale non è il solo colpevole».

Il riferimento è al brutale omicidio che lo stesso Traini ha identificato come movente della sua strage: Pamela Mastropietro fu uccisa e fatta a pezzi una settimana prima che lui decidesse di aprire il fuoco contro tutti i neri che incontrava per strada. Per quel fatto, il nigeriano Innocent Oseghale è stato condannato all’ergastolo.

Il caso Mastropietro, fuori dalla cronaca, rappresenta uno dei cavalli di battaglia della destra più razzista: sopra il delitto è stata costruita una narrazione tossica potentissima e infarcita di notizie completamente false eppure accettate come vere da una parte sin troppo consistente dell’opinione pubblica. Magia nera, cannibalismo, mafia nigeriana sono gli ingredienti principali di questa vulgata, e a nulla è servito il fatto che indagini e perizie abbiano escluso in maniera indubitabile tutti questi elementi. Basta fare un giro sui social network per vedere il grado di morbosità con cui è stata strumentalizzata questa vicenda: lo scorso agosto Marco Valerio Verni, lo zio di Pamela, è arrivato addirittura a pubblicare su Facebook la foto della testa mozzata di sua nipote per dimostrare «la diabolicità a cui un’immigrazione incontrollata possa portare».

In questo anno e mezzo abbondante di carcere, tra l’altro, Traini ha trovato il tempo e il modo per scrivere un libro sulla settimana che ha sconvolto Macerata: dall’omicidio Mastropietro alla strage. A quanto sostiene il suo avvocato Giancarlo Giulianelli, l’attentatore è stato aiutato nella stesura del testo da un altro detenuto e adesso è in cerca di una casa editrice disposta a pubblicarlo. I proventi delle vendite, almeno nelle intenzioni dell’autore, serviranno per pagare i risarcimenti alle vittime del 3 febbraio.