In un giorno di agosto dell’anno 117 moriva in Cilicia, sulle coste dell’odierna Turchia, Marco Ulpio Traiano. Era nato in Spagna, vicino a Siviglia, e si spegneva a 64 anni all’estremità opposta del Mediterraneo, dopo aver cercato – senza riuscirci – di realizzare il sogno che era stato prima di Alessando Magno e poi di Cesare: soggiogare l’impero persiano. Fu questo l’unico insuccesso nella carriera, altrimenti impeccabile, di un imperatore-soldato che fece comunque raggiungere all’impero romano la massima estensione di sempre. Era giusto che Roma non passasse sotto silenzio il diciannovesimo centenario della morte di quello che di tutti i principes fu detto ‘il Migliore’. A celebrarlo è arrivata un’importante mostra, Traiano Costruire l’impero, creare l’Europa, allestita nell’ambito di Zètema Progetto Cultura nella suggestiva cornice dei Mercati Traianei, affacciandosi dai quali il visitatore può abbracciare con lo sguardo tutto il grandioso complesso monumentale simbolo del principato di Traiano: il Foro, la basilica Ulpia e la celeberrima colonna coclide. Curata da Claudio Parisi Presicce (soprintendente capitolino ai beni culturali), Marina Milella, Simone Pastor e Lucrezia Ungaro (archeologi ‘di lungo corso’ della stessa soprintendenza), la mostra resterà aperta fino a settembre.
Traiano gode di buona stampa. La storiografia ha accettato in larga misura il giudizio encomiastico di Plinio il Giovane, che sotto di lui fece carriera nell’amministrazione statale, e di Dione di Prusa, che visse alla sua corte e si spese come mediatore tra il governo centrale e la sua provincia d’origine, la Bitinia. Traiano piaceva perché era un uomo nuovo: oltre a essere il primo imperatore nato fuori dall’Italia, fu il primo ad arrivare al potere non per discendenza dinastica ma per meriti personali. Fu scelto dal predecessore, il vecchio Nerva, oltre che per le capacità militari, per il suo equilibrio e la sua moderazione. E lui fu molto abile a sfruttare queste doti per crearsi l’immagine di principe buono – ci voleva poco, dopo Domiziano – rispettoso del senato e tollerante verso gli intellettuali. Non per questo il suo potere fu nella sostanza meno assoluto, ma è vero che seppe usare di questo potere con intelligenza per costruire, sia in senso letterale che metaforico.
Il tema del costruire è sotteso, come un filo rosso distintamente percettibile, a tutta la mostra, la quale consta di opere originali – alcune recuperate dall’oblio dei depositi ed esposte per la prima volta, altre ‘rimpatriate’, come un grande frammento di fregio che dal 1826 fa parte dell’Antikensammlung di Berlino – ma anche di calchi (come quelli, preziosi, della Colonna Traiana, che i maestri formatori dei Musei Vaticani realizzarono nel 1861-’62), di modelli in scala (perlopiù dal Museo della Civiltà Romana, un gioiello di cui si attende con impazienza la riapertura), di elaborazioni digitali in 3D e filmati vari, a partire da quello che, all’inizio del percorso esposivivo, accoglie il visitatore in un ambiente che simula il basamento della Colonna, e fa rievocare a Traiano stesso, in prima persona, i fatti salienti della sua vita.
Lo storytelling è infatti una delle modalità a cui dichiaratamente si attiene, pur senza eccedere, l’apparato didattico della mostra. E se la multimedialità è oggi una componente imprescindibile di ogni mostra che si rispetti, qui i curatori rivendicano di essere andati oltre, sperimentando anche la multisensorialità immersiva (i petali profumati di incenso e i rumori della folla nella sala dedicata alla cerimonia del trionfo).
Tra le opere di guerra di Traiano in primo piano è posta naturalmente la conquista della Dacia, l’impresa in cui il genio ingegneristico di Apollodoro di Damasco (suo il grandioso ponte sul Danubio) assecondò quello strategico del condottiero. Si trattò di una sottomissione brutale, ma l’ignoto autore dei rilievi della Colonna conservò ai vinti fierezza e dignità. E ciò spiega perché i loro discendenti odierni, i Romeni, siano sempre stati così affezionati, sotto qualunque regime, al monumento della loro sconfitta, che hanno saputo trasformare in simbolo identitario, in orgoglio di appartenenza. È l’esempio migliore di quella capacità di inclusione e integrazione del principato traianeo che la mostra tiene a mettere in evidenza e che trova la sua esplicitazione nell’installazione di Luminita Taranu, artista romena di nascita e italiana di adozione, ispirata alla Colonna Traiana e intitolata Columna mutatio, con riferimento al cambiamento di significato che nel tempo la Colonna ha conosciuto. Non so se la presenza di quest’opera basti a qualificare la mostra come pop, come vogliono i curatori, ma certo è una scelta felice, che non si può che condividere.
La Dacia di cui Traiano si impadronì era un forziere ricolmo d’oro, e buona parte di quell’oro fu profuso dal lungimirante vincitore in opere di pace. Per sostenere un’Italia in crisi, concesse prestiti agevolati ai piccoli proprietari in difficoltà e destinò gli interessi all’assistenza dei ragazzi bisognosi. Ma soprattutto costruì a Roma e in tutto l’impero importanti strutture e infrastrutture. La mostra ne illustra le principali: il complesso Foro-Basilica-Mercati, le terme sul Colle Oppio e il rifacimento del Circo Massimo a Roma, le attrezzature portuali di Centumcellae (Civitavecchia), di Portus (Ostia) e Ancona, l’acquedotto che portava l’acqua del lago di Bracciano nella capitale, il proseguimento della Via Appia da Benevento a Brindisi, il ponte di Alcantara in Spagna, il grandioso tempio di Pergamo, gli imponenti archi eretti nelle province africane.
Spazio è concesso anche all’edilizia privata. Un video consente di accedere ai pressoché sconosciuti vani sotterranei della casa dell’imperatore sull’Aventino, mentre sono eccezionalmente esposti gli splendidi stucchi – basterebbero essi soli a raccomandare caldamente la visita della mostra – della villa del princeps presso Arcinazzo Romano.
Non manca una sezione sulle donne di Traiano, tutte personalità di spicco: la sorella Marciana e la figlia di lei Matidia (madre di Vibia Sabina, poi sposa di Adriano) e soprattutto la moglie Plotina, donna colta (corrispondeva in greco con gli esponenti della scuola epicurea di Atene) e abile politica (ebbe un ruolo decisivo nella nomina di Adriano a successore del marito).
Né è tralasciato il tema della fortuna di Traiano nell’immaginario medievale. Circolava una leggenda secondo cui l’imperatore avrebbe una volta rimandato i suoi impegni militari per rendere giustizia a una povera vedova. Commosso dal gesto, Gregorio Magno avrebbe addirittura impetrato da Dio la salvezza della sua anima, nonostante fosse un pagano. A sistemare la faccenda dal punto di vista teologico pensò poi Tommaso d’Aquino, che postulò una resurrezione-lampo dell’imperatore, concessagli per il tempo necessario a convertirsi al cristianesimo. Nessuna meraviglia, perciò, che Dante lo collochi in paradiso, tra i sommi giusti.
Le mostre sono per definizione eventi di durata limitata, che rischiano di lasciare, a fronte di un grosso impegno in termini di ricerca, organizzazione e risorse economiche, scarsa memoria di sé. Non sarà così per questa mostra, corredata com’è di un ricco (e data la mole, quasi cinquecento pagine, neanche troppo costoso) catalogo pubblicato da De Luca Editori d’Arte (euro 54,00). In aggiunta alle esaurienti schede di tutti i pezzi in mostra, il volume raccoglie infatti numerosi saggi a firma degli stessi curatori e di altri prestigiosi studiosi internazionali e si raccomanda non solo a un pubblico colto ma anche agli specialisti, che vi troveranno aggiornate sintesi sulla storia politica e la cultura artistica e materiale dell’età dell’optimus princeps.