La parola «vendetta» si staglia a caratteri cubitali sulla rosseggiante palizzata di assi di legno che racchiude lo spazio scenico. Gli interpreti si presentano lì davanti sgambettando sulle note di un motivetto allegro, in una passerella da varietà d’antan. È l’imprinting che Declan Donnellan impone alla messinscena allegramente sgangherata de La tragedia del vendicatore di Thomas Middleton, autore elisabettiano di qualche anno più giovane di Shakespeare. Il regista inglese deve la sua fama soprattutto alla trasposizione in abiti contemporanei di opere scespiriane (l’estate scorsa avevamo visto a Napoli una non proprio memorabile versione di Pericle principe di Tiro ambientata in una asettica sala ospedaliera). Qui si cimenta, per la prima volta ci pare, con una produzione italiana, la firmano Piccolo teatro milanese ed Emilia Romagna Teatro (da mercoledì prossimo lo spettacolo è a Roma all’Argentina). E l’esito felice del lavoro è anche, forse soprattutto, merito degli attori (Fausto Cabra, Ivan Alovisio, Pia Lanciotti, Massimiliano Speziani e tutti gli altri).

INCESTI, uccisioni, travestimenti, prostituzioni, torture, potere che corrompe ed è corrotto. Non c’è limite all’orrore nella «tragedia di vendetta» di Middleton. Qualcuno ancora ricorda lo spettacolo di Luca Ronconi a Prato, ormai parecchi anni fa, con uno straordinario cast tutto femminile (il testo allora era ancora attribuito a Cyril Tourneur). Donnellan va per un’altra strada, come si è accennato. Una commedia nera tirata ai confini della farsa. Fin quasi a farne una sorta di Ubu re, altro testo su cui il regista si era esercitato con successo anni fa. Come suggerisce la sarabanda finale, con i congiunti che si scannano uno dopo l’altro per mettere il proprio culo sul trono, tanto per restare a Jarry.

LA PARETE lignea si apre spesso a mostrare un di fuori da cui avanza una pedana con i pochi arredi che servono per la rappresentazione delle scene. Il gran letto dove la duchessa esibisce i propri amplessi. La dormeuse dove viene composto un simulacro femminile, rispecchiato nell’immagine della Venere di Tiziano che sta agli Uffizi. Sul fondo si proiettano infatti alcuni capisaldi pittorici del nostro Rinascimento, come a confermare l’ipotetica ambientazione italiana della tragedia. O per dirci che qui stiamo, e la scarsa considerazione dell’onestà è da sempre uno dei caratteri nazionali del nostro paese?