Cinque miliardi di dati strappati dai telefoni cellulari e analizzati, ogni ventiquattro ore: è la mole di dettagli telefonici elaborati dalla Nsa, l’Agenzia di Sicurezza americana, secondo quanto rivelato dal Washington Post a seguito del materiale consegnato dalla fonte Snowden, l’ex agente che ha fatto scattare lo scandalo legato alle intercettazioni, meglio conosciuto come Datagate. Si tratta di una scoperta che se pone in atto una nuova e inquietante sfida alla privacy, dimostra ancora una volta la capacità della Nsa di gestire dati, perfino troppi secondo quanto rivelato da alcune fonti, poiché si parlerebbe di almeno 27 terabyte di materiale (un terabyte rappresenta mille miliardi di byte), in modo assolutamente legale.
Se eravamo abituati a provare a sfuggire alle maglie dei potenziali controlli criptando una mail o navigando su internet in modo anonimo, la novità – si fa per dire – che arriva dalla Nsa è che non solo basta un cellulare per essere tracciati, localizzati in ogni momento, ma l’accensione del telefono è sufficiente per rientrare in un piano di sorveglianza, grazie al «dialogo» costante tra dispositivo e le antenne cui di volta in volta si aggancia. Bisognerà vivere in una caverna, per non essere sorvegliati», ha specificato Chris Soghoian, dell’American Civil Liberties Union. I dati elaborati dalla Nsa infatti, si basano sui segnali attraverso cui i cellulari si collegano alle celle: non tanto ascolto delle telefonate, quindi, quanto tracciamenti fisici, geografici e creazione di relazioni precedentemente ignorate. La scusa: aggregare persone anche fuori dagli Stati Uniti, che non venivano in alcun modo spiate, ma che da un certo punto in poi sono pizzicate attraverso l’analisi dei dati, se avvicinati a persone «sorvegliate» in prossimità di determinati luoghi geografici, o sapere in ogni momento dove si trova un «sospettato». La Nsa, ha scritto il Washington Post, «non ha motivo di sospettare che i movimenti della stragrande maggioranza degli utenti di cellulari possano essere rilevanti per la sicurezza nazionale. Raccoglie i dati in massa, perché i suoi strumenti di analisi permettono di cercare collegamenti tra obiettivi conosciuti, tracciando i movimenti». In pratica: se una persona è tracciata dalla Nsa e si trovasse vicino al cellulare di qualcuno fino ad allora non rilevato dai potenti mezzi americani, anche quest’ultimo «contatto» potrebbe finire nella rete. Il cellulare dell’ignaro sorvegliato, finirebbe dunque per essere una sorta di «alert» nei confronti di potenziali controllati: non è un caso se il software in grado di elaborare in modo tanto sofisticato una massa di dati così ampia si chiami proprio «Co-traveller», ovvero «compagno di viaggio».
Cosa se ne può fare la Nsa di un numero così elevato di dati? Dando per scontato la risposta relativa alla «prevenzioni di atti terroristici», rimane il dubbio che tutto questo impianto possa essere un tentativo per capire fino a che punto può spingersi il controllo: non si tratta più infatti di dati vocal[============]i, conversazioni ascoltate; siamo di fronte al tentativo di tracciare cerchi e relazioni tra persone attraverso i loro movimenti, in grado di essere localizzati e analizzati in ogni dettaglio, stabilendo nessi e relazioni. La casualità di un incontro, la preveggenza di futuri rischi, il tentativo di bloccare un imprevisto o qualcosa che mai si era preso in considerazione. Del resto, lo stesso boss della Nsa, il generale Keith Alexander durante una testimonianza nell’ottobre scorso di fronte al Senato aveva raccontato di un progetto pilota nel 2010 e nel 2011 per raccogliere i «campioni dei dati di localizzazione dei cellulari degli Stati Uniti». Alexander – che pare abbia una vera e propria fissazione nei confronti dei dati e che ha spinto al limite le capacità di analisi della Nsa – aveva specificato che una collezione più ampia di tali dati «può essere qualcosa che in futuro sarà un obbligo per il paese, ma non lo è adesso». Di audizione in audizione, da segnalare infine che Alan Rusbridger, il direttore del Guardian, uno dei giornali che rivelò il Datagate, ha difeso nel parlamento britannico la decisione di pubblicare gli scoop che hanno rivelato Prism e non solo. Secondo Rusbridger, il Guardian avrebbe pubblicato solo l’uno percento del materiale consegnato da Snowden.