Per chi scrive, di fronte ai film e alle immagini di Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi, c’è spesso una sensazione di strana vertigine, forse perché il loro «cinema d’archivio» – sono universalmente riconosciuti fra i più importanti cineasti viventi, in Italia e fuori – lavora da sempre nella percezione e immaginazione degli spettatori riuscendo a destare lo sguardo da certe sue pigrizie mentali (la stessa cosa vale per le mostre). Forse è per questo. In ogni caso, si tratta di un’opera – la loro – in cui è al centro una capacità di osservazione unica, tra rigore e invenzione, qualcosa che si può già «vedere» nelle testimonianze di molti dei loro viaggi, cioè i loro diari. In questo caso, l’occasione di un possibile approfondimento la offre la casa editrice Humboldt Books con l’imminente pubblicazione di The Arrow of Time, la cui idea è nata dalla retrospettiva dedicata alla coppia e dalla loro carte blanche alla Cinematek di Bruxelles (febbraio 2015). Dal testo in appendice di Eva Fabbris – assieme al suo, gli altri interventi critici nella sezione sono di Corinne Diserns e di Andrea Lissoni (tutti in italiano e inglese) – si può leggere: «Questo libro presenta una selezione delle pagine dei diari, una vera e propria tranche de vie: un quaderno che inizia nel gennaio del 1989, da cui sono state estratte ottantadue pagine; più un quaderno e un album, riportati per intero, redatti nel medesimo periodo. La scelta di questi taccuini rispetto a numerosissimi altri è stata fatta insieme agli artisti. Vi compaiono le figure che si ritrovano nei capitoli già realizzati del progetto russo (Viaggio in Russia. Materiali non montati per un film da fare: Interni a Leningrado; Notes sur nos voyages en Russie e À propos e nos voyages en Russie) e che saranno protagonisti del film russo a venire: Valia Kozincev, Ida Nappelbaum, Ossip Mandelstam, Anna Achmatova, Nina Berberova e molti altri insieme alla Leningrado dell’Ermitage e dell’incrociatore “Aurora” ormeggiato sulla Neva davanti alla camera d’albergo del loro primo soggiorno. Ma nello stesso quaderno, poi, le gite in montagna insieme agli amici russi che ricambiano la visita, le partecipazioni ai festival, la continuazione della ricerca in luoghi d’Europa, attraverso letture e altri incontri come quello non semplice, tra Ricci Lucchi e la Berberova […]».

Da qui un possibile approfondimento può essere articolato su due tracce, da mettere in relazione tra loro.

Diario come foglio-mondo

Avendo sotto gli occhi la riproduzione anastatica delle pagine del diario (nel libro c’è la traduzione in inglese di queste), non si può che iniziare con il soffermarsi sull’impatto visivo.

La scrittura è in prima persona. Seguendo la grafia, come ideale sua «estensione», vediamo figure dal tratto uniforme che illustrano la narrazione, l’anticipano o magari la sostituiscono, restituendo «la pagina» come una trama di codici misti in cui, qua e là, c’è persino la sensazione di trovarsi di fronte a sequenze che quasi ricordano pittogrammi. Cosa si vuol dire con questo? Al di là di risposte giocoforza approssimative, l’ipotesi potrebbe essere quella di vedere, in questo, l’intenzione di una osservazione delle cose il più possibile completa ai sensi.

Leggendo quanto scritto, invece, si possono notare come caratteristiche peculiari una certa attenzione o gusto al dettaglio narrativo attraverso una scrittura che però procede senza altre concessioni, per esempio allo psicologismo. Siamo di fronte a quello che potremmo definire un diario in senso classico, pre-romantico. Diario allora di viaggiatori come, appunto, sono gli stessi Gianikian e Ricci Lucchi, diario dove leggiamo di spostamenti, conversazioni, incontri, ma anche di annotazioni sintetiche, liste di libri, alimenti, idee, molto altro. Cosa si vuol dire con questo? Qualcosa certamente di leggibile in relazione alla loro opera audiovisiva, ma in modo indiretto, perché qualcosa anche di diverso, al di là dei possibili giudizi di valore di ognuno.

A questo punto, per provare ad introdurre al meglio i «quadri della memoria» di questo diario – quando c’è un diario c’è sempre da fare i conti con questo tema, la memoria – si potrebbe usare l’immagine del foglio-mondo, per come coniata dal filosofo americano Charles Sanders Peirce e spiegata dal filosofo italiano Carlo Sini («ogni grafo è filosofia di un universo, figura del mondo») e azzardare una relazione tra diario e cinema nell’opera di Gianikian e Ricci Lucchi simile a quella tra mappa e territorio.

Prima e dopo la Storia

Il primo quadro della memoria di The Arrow of Time è senza dubbio quello relativo all’azione di Gianikian e Ricci Lucchi. Il loro viaggio in Russia data anni particolari per la Storia di questo Stato, 1989-1990, cioè poco prima della fine dell’Unione Sovietica. Sono lì per alcune occasioni, tutto inizia con un invito ricevuto da un festival di cinema documentario a Leningrado, seguiranno determinate visite e incontri. Sono lì per lavoro, anche se poi i lavori di quello che è stato chiamato il loro «progetto russo» usciranno successivamente – di questi anni è, invece, il loro film Uomini anni vita, dove la Russia è presente attraverso la questione armena (ma a leggere bene l’Armenia non manca nemmeno fra le pagine di questo diario).

In questo caso, la narrazione vale come memoria di loro esperienze attraverso un’epoca.

Il secondo quadro della memoria che si può desumere dal libro potrebbe invece essere quello che va dal senso degli incontri svolti in Russia, include giocoforza la loro opera, e arriva infine a noi. Cosa si vuol dire con questo? In un certo senso, al di là di possibili riferimenti – per esempio alla nozione estesa di «postmemory» – con uno schema del genere si può suggerire una lettura del diario come guida per meglio comprendere il modo di intendere e far vedere la Storia che viene fuori dal lavoro di Gianikian e Ricci Lucchi. La loro presenza in Russia, i loro incontri con figure come Valia Kozincev, Nina Berberova e altre (figure legate alla grande cultura dell’epoca sovietica), e le relative documentazioni: tutto questo è entrato a far parte proprio dell’archivio della coppia come tentativo di non perdere tracce vive di un periodo così importante – prima del venir meno di tali tracce, dopo la loro trasformazione in Storia. E noi, lettori di questo diario, leggiamo tutto questo «al presente», in un tono in sintonia con quello del loro cinema e della loro arte, e che inoltre, forse, «risponde» come eco a loro idee sul proprio lavoro (da una loro dichiarazione: «Non politico, non estetico, non educativo, non progressivo, non cooperativo, non etico, non coerente: contemporaneo»). E questa, se si vuole, è una contemporaneità che fa rima con una certa «inattualità»: qualcosa sempre potente, da sempre presente.