Il coronavirus sta scuotendo anche le fondamenta dei santuari dell’ortodossia ordo-liberista europea. Dopo l’intesa franco-tedesca sui contorni del fondo di ripresa (recovery fund), nella quale ha fatto capolino l’eretico concetto della «mutualizzazione» del debito, sono le parole di Christine Lagarde a rendere l’idea di come la pandemia stia scavando nelle convinzioni più granitiche dell’élite tecnocratica dell’Unione.

In un’intervista rilasciata congiuntamente ai giornali Corriere della Sera, El Mundo, Les Echos e Handelsblatt, la presidente della Bce ha di fatto censurato l’ipotesi che dopo questa fase emergenziale il patto di stabilità europeo possa tornare a funzionare come un rullo compressore per rimettere in riga i paesi più indebitati. Seguiamo il suo ragionamento.

La pandemia sta costringendo gli Stati a spendere in disavanzo molto più che nel recente passato. Lo sforzo finanziario, nondimeno, non è uguale da paese a paese: sommando gli aiuti diretti e le garanzie sui prestiti alle imprese, esso varia dal 2% al 40% del Pil. In ogni caso, è prevedibile che alla fine del 2020 il debito della zona euro sarà, nel suo complesso, vicino al 100% del Pil (ora all’86%), complice la recessione.

Ma alcuni paesi, come l’Italia, potrebbero vedere schizzare il loro rapporto debito/pil ben oltre il 160%. Che si farà a quel punto? Intanto, per valutare la sostenibilità di questo debito bisognerà tener conto sia dei livelli di crescita che dei tassi d’interesse in vigore, che dipendono molto dalla politica monetaria della Bce. Secondariamente, converrà rivedere le attuali modalità del Patto di stabilità: «Ne va misurata la pertinenza e l’efficacia. I termini del Patto di stabilità e di crescita devono essere rivisti e semplificati prima che si pensi a reintrodurlo».

Cosa intenda concretamente la Lagarde per «modifiche» al patto di bilancio europeo dall’intervista non si evince – a parte un fugace accenno ad alcune recenti proposte dell’Fmi -, ma una conclusione dal suo ragionamento si può trarre.

Perché le regole di bilancio europee siano maggiormente «pertinenti» ed «efficaci», bisognerà innanzitutto evitare che una nuova ondata di austerità abbia effetti recessivi e deflazionistici, compromettendo sia i risultati delle politiche fiscali espansive di questi mesi, sia la stessa sostenibilità del debito. Per evitare invece che il solco tra paesi con maggiori margini di manovra fiscale e paesi più indebitati (e più colpiti dal coronavirus) si allarghi ancora di più, la presidente della Bce ha richiamato l’attenzione sulla necessità di un piano di rilancio centralizzato, «per ristabilire la simmetria fra i paesi nell’uscita dalla crisi».

Un piano «rapido» e con una potenza di fuoco finanziaria proporzionata all’entità della sfida rappresentata dalla crisi pandemica, visto che «il fabbisogno aggiuntivo generato da questa crisi per gli Stati membri, per il solo 2020, sarà compreso tra i 1.000 e i 1.500 miliardi di euro». Molto, molto di più di quanto hanno messo in conto Merkel e Macron.

E la Bce? Continuerà a pompare liquidità nel sistema, a dispetto della sentenza dei giudici di Karlsruhe. Un «lavoro» necessario, indispensabile alla stabilità finanziaria, che tuttavia fa emergere la contraddizione più radicale dell’attuale architettura euro-monetaria, ovvero l’indisponibilità del denaro creato dal nulla per il finanziamento diretto di una quota di spesa pubblica, nemmeno nel contesto di una crisi devastante come quella che abbiamo alle porte.

Nella stessa intervista, Christine Lagarde ritorna sul concetto di «trasmissione della politica monetaria», riconoscendo implicitamente alcuni obiettivi mancati della stessa. Una domanda pertinente sarebbe stata questa: perché siamo entrati nella pandemia con economia in stagnazione, nonostante la Bce abbia iniettato negli ultimi quattro anni più di tre trilioni di euro nel sistema? Forse perché la «trasmissione» all’economia reale di questo denaro, che in tanta parte contribuisce a gonfiare bolle speculative sui mercati, non è scontata a fronte di una domanda effettiva che rimane bassa? Oltre al Patto di stabilità, andrebbe cambiato, a ben vedere, tutto l’Eurosistema.