Due figure femminili protagoniste quest’anno al ciclo di spettacoli classici dell’Inda. Due casi estremi, carichi di sofferenza smisurata, anche se entrambe le due donne alla fine portano in salvo la propria vita. Elettra di Sofocle e Alcesti di Euripide (in scena a giorni alterni fino al 19 giugno) sono due tipologie femminili molto lontane. Assetata di vendetta la prima, contro la madre e colui che è entrato nel suo letto, dopo che assieme avevano ucciso Agamennone. Sceglie invece volontariamente il sacrificio la seconda, scambiando la propria vita con quella del marito Admeto dopo che la morte di questi era stata decisa dagli dei. Come è facile immaginare, nonostante sia commissariata l’istituzione siracusana, sarebbe stata una buona occasione per approfondire proprio la tematica del sacrificio femminile, oltre che l’impalcatura dell’ordine materno dal quale entrambe si staccano. L’approfondimento c’è, ma resta parziale anche per come gli spettacoli prendono corpo sulla scena smisurata del teatro greco, una spianata circolare di decine di metri quadri, attorniato da una cavea di diverse migliaia di spettatori.

La tragedia della figlia degli Atridi è stata affidata a Gabriele Lavia, che l’ambienta dentro una rugginosa e allarmante struttura in verticale firmata da Alessandro Camera. Il regista riesce a trasmettere agli attori, perfino accentuato, il proprio modo di recitare, pur non essendo lui presente in scena. Nel ruolo di Elettra, Federica Di Martino rantola, si dimena e si sbatte per terra tutto il tempo, in un esercizio fisico incessante che riesce a rendere Elettra ancor più «passatista» e nostalgica (in senso pasoliniano) del dovuto. In qualche misura si adeguano a quel ritmo, tonitruante e forsennato, anche gli altri, compresa la regale Clitennestra di Maddalena Crippa, che si abbandona a qualche entusiasmo danzerino di troppo alla notizia falsa della morte del vendicatore Oreste.

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La figura più misurata ed efficace resta la Crisotemi di Pia Lanciotti, efficace per dolore e senso di impotenza. Comune a tutti (come fosse una iniziativa promozionale dei parrucchieri siracusani) l’eccesso di parrucconi sguaiati e indomabili, molto da cartoon. Nel ricordo, grandeggia il dolore rappreso di una Elettra di Massimo Castri su una pietraia che occupava l’intero palcoscenico, e la protagonista covava la sua rabbia raccogliendo senza sosta le pietre che metteva nella gerla sulle spalle. Un’immagine che ancora addolora nel ricordo. E l’interprete di quella Elettra era Galatea Ranzi, che ora a Siracusa è Alcesti, che dà la vita in cambio di quella del suo uomo nella tragedia di Euripide.

 

Questo è un testo assai poco rappresentato: si ricorda quella novecentesca di Savinio, quella recentissima e geometricamente inquietante di Massimiliano Civica nell’antico carcere fiorentino, e quel Feräi che costituì tanti anni fa la prima apparizione ufficiale di Eugenio Barba in Italia. La regia di Cesare Lievi dà spessore al dibattito che della tragedia è il nerbo, attraverso i confronti a due – quasi dialoghi di filosofico quanto concreto pensiero – tra i diversi personaggi: lo stesso Admeto/ Danilo Nigrelli; il padre non disposto allo scambio che offre a Paolo Graziosi un mirabile cammeo; Eracle simpatico e cialtrone (Stefano Santospago) tra una fatica e l’altra riporterà in vita la protagonista. E poi l’ambiguo Apollo di Massimo Nicolini, e l’ancella dolorosamente intensa di Ludovica Modugno. La mano sicura di Lievi racchiude questo fitto intrecciarsi di logos dentro una cornice insieme commovente e straniante: un corteo di musica e paesani, che è in apertura un funerale come tanti si sono susseguiti nei secoli in questo sud di Magna Grecia, e alla fine festevole raduno che celebra il ricongiungimento della coppia reale.

Anche in quella Tessaglia usano i capelli lunghi, ma tutti i costumi accusano il piacere dell’eccesso, firmati da Luigi Perego, che pure è autore della bellissima scena. Una parete superba di toni di rosso, con finestroni di stile giapponese (potenza ispiratrice della consorella pucciniana Butterfly?); belle le musiche di Marcello Panni. Ora resta al teatro greco l’ultimo appuntamento, quello forse più curioso: dal 23 sarà in scena per poche sere Fedra di Seneca. Dove la latinità dell’autore contende la sorpresa alla napoletanità del regista, Carlo Cercello. Un appuntamento imperdibile per finire in gloria questo 52° ciclo di rappresentazioni classiche a Siracusa.