Sono frammentarie e drammatiche le notizie che arrivano da Lashkargah, il capoluogo della provincia meridionale dell’Helmand, da 9 giorni sotto assedio dei Talebani.

NEL MOMENTO in cui scriviamo è ancora in corso l’operazione militare lanciata mercoledì notte per «liberare» la città dai Talebani. Annunciata da Sayed Sami Sadat, giovane generale che in questi giorni rassicura la popolazione promettendo che «tutti i terroristi verranno uccisi», l’operazione coinvolge le forze speciali e prevede bombardamenti.

La popolazione è stata invitata a lasciare le proprie case, ma nella maggior parte dei casi è rimasta intrappolata, presa tra due fuochi. Con i giornalisti sul campo limitati nel loro lavoro, sui social media si rincorrono le narrazioni delle rispettive propagande.

L’esercito vanta progressi e riconquiste, i Talebani rilanciano, accusando il governo di uccidere civili con le operazioni dal cielo. Quel che è certo è che la popolazione è in estrema difficoltà. Il bilancio di vittime e feriti si potrà fare soltanto quando l’operazione sarà terminata.

NON È CONCLUSO il tentativo dei Talebani di stringere d’assedio la città di Herat, nell’omonima provincia occidentale. Ieri sono tornati intensi gli scontri nella periferia della città, difesa anche dall’ex signore della guerra Ismail Khan.

Mentre dopo mesi di trattamento medico all’estero è tornato nel Paese anche il maresciallo Abdul Rashid Dostum, altro ex signore della guerra noto per gli abusi commessi sui prigionieri, che ha chiamato alla mobilitazione. Secondo Dostum, i Talebani puntano al pieno controllo di una provincia tra quelle di Herat, Kandahar, Helmand, Jawzjan o Takhar.

LE ULTIME DUE, nel nord del Paese, fanno parte dell’area che corrisponde al bacino elettorale di Dostum, ma ieri si combatteva duramente nel centro di Taloqan, capoluogo di Takhar. Nella provincia di Kandahar invece i Talebani controllano tra gli altri il distretto di Spin Boldak, al confine con il Pakistan. Ieri, in disaccordo con le autorità pachistane sui criteri di attraversamento, hanno deciso di chiudere il lato afghano del confine.

I Talebani contestano anche la decisione del Dipartimento di Stato Usa di allargare i criteri con cui ammettere negli Stati uniti coloro che hanno collaborato con Washington. «Un’interferenza inaccettabile», tuonano dal loro sito web ufficiale.

Quella decisione non è piaciuta neanche alla Turchia. Secondo Ankara, favorirà un’ulteriore spinta migratoria verso la Turchia. Ma la spinta è già in corso. Chi può lascia l’Afghanistan, dove la progressiva avanzata militare talebana ha innescato la protesta serale degli «Allah Akbar», ma ha messo ulteriormente a nudo la debolezza del governo.

TANTO CHE NEI CIRCOLI diplomatici occidentali si dà per imminente l’avvicinamento dei Talebani alla capitale, Kabul. Qui, prima il presidente Ashraf Ghani poi il capo dell’Alto consiglio per la riconciliazione nazionale Abdullah Abdullah hanno ricevuto la chiamata del segretario di Stato Usa, Antony Blinken, che ha «reiterato l’impegno statunitense per una soluzione politica» al conflitto.

Ma l’intensità del conflitto è tale da rendere difficile immaginare che Kabul e i Talebani riescano a trovare un compromesso, soprattutto in tempi brevi. L’avanzata militare dei Talebani è stata inoltre così efficace da modificare gli equilibri interni al gruppo dirigente e alla Rabhari shura, il massimo organo di indirizzo politico, guidato da Haibatullah Akhundzada.

COME SPIEGATO ieri su Radio3Mondo dal ricercatore Antonio Giustozzi, la componente militare, che spinge da mesi per la spallata al governo, sta progressivamente guadagnando forza rispetto a quella politica, più incline al negoziato. Un effetto diretto dei progressi territoriali: in pochi mesi, da quando i Talebani hanno intensificato la loro offensiva, hanno ottenuto il controllo di almeno la metà dei circa 400 distretti del Paese.

Per molti afghani, l’intransigenza dei Talebani dimostra ancora una volta il fatto che sono eterodiretti. Dietro, ci sarebbe Islamabad. Tra le voci istituzionali più critiche verso il Pakistan c’è Amrullah Saleh, vice presidente e già capo dei servizi segreti, che nei giorni scorsi ha parlato dell’avanzata talebana come di un’occupazione straniera.

Ricordando che è pressoché impossibile sconfiggere un gruppo di insorti, se le loro basi e retrovie sono in un altro Paese. Poi Saleh si è unito a una delle manifestazioni serali di questi giorni, scandite dagli «Allah Akbar».