La pioggia che cade sulla Bassa tra Parma e Piacenza, troppa per il mese di aprile, si trasforma in diluvio. L’auto deve fermarsi ad aspettare che dall’orizzonte piatto riemergano i campanili, e la campagna smetta di somigliare a un universo galleggiante. Riparte, durante una tregua, verso Colorno, poi è costretta di nuovo a spegnere il motore. Un enorme specchio d’acqua tremolante nasconde l’asfalto. Vigili urbani e pompieri sorvegliano la situazione. Arriva un ragazzo canotto sulla testa, confabula con gli uomini in divisa, indica l’altra parte della strada, vara il canotto e a forza di braccia approda. Ridono vigili e pompieri, ride anche la pioggia, che decide di smetterla. Spunta un’idea di sole, la Bassa tra Parma e Piacenza riprende colore. Quando la pioggia scende così violenta, un po’ di paura, qui, viene sempre. Il Po è comunque a un passo. All’Osteria Vèdel, la sera, si parla ancora della pioggia. Tu, viandante in transito e figlio di un Nord dove acquazzoni e scosse sono cose lievi, l’hai già dimenticata, e il terremoto lo hai vissuto in televisione. Dunque l’oste Bergonzi e gli avventori capiscono se a preoccuparti è solo la sequenza delle portate che compongono la cena. La pasta fatta a mano, le carni bianche e rosse, il pesce di fiume, i dolci….

Da cinque generazioni i Bergonzi li preparano seguendo ricette antiche. Apre le danze il piatto di salumi. Ed è li, in un tondo di bianca ceramica, che avviene l’incontro con il culatello. Amore al primo assaggio. Colorno, provincia di Parma, fa parte dei comuni del Culatello di Zibello Dop insieme a Busseto, Polesine Parmense, Roccabianca, San Secondo, Sissa, Soraga e Zibello stessa. L’oste Bergonzi arriva a fine menu. «Facciamo un salto in cantina?» Pensi a una cantina enologica. L’oste apre la porta, accende le luci, aspetta il tuo stupore. Quanto grande sia la cantina non arrivi a calcolarlo, perché dal soffitto pendono centinaia e centinaia di forme di culatello in stagionatura. Ci vuole un po’per recuperare la parola. Spiega il Bergonzi come il culatello diventa adulto, il clima in cui deve maturare. Ma quanto vale tutto questo? La risposta in euro impone riservatezza. Prima di uscire butti un occhio a vedere se ci sono sistemi di allarme.

La colazione della Locanda Stendhal, che si fregia di tale insegna perché l’autore de La Certosa è passato da queste parti, aiuta a consultare la mappa del tragitto: Colorno, Soragna, Roncole, Sant’Agata di Villanova sull’Arda, Castell’Arquato, tra Parmense e Piacentino. Gli Eldorado dell’Emilia si scoprono a patto di accettare chilometri di pianura disseminata di capannoni, industrie, frazioni senza identità, distributori di benzina. Quando arrivi a destinazione, quegli Eldorado risplendono ancora di più. Colorno è la sua Reggia. Nata nel 1337 per volere di Azzo da Correggio, dimora per Barbara di Sanseverino, confiscata dai Farnese, proprietà dei Borbone, manicomio provinciale dopo l’Unità d’Italia, oggi si presenta con quattrocento sale, cortili e corti. Riecheggia i fasti di Versailles, e non è affermazione azzardata visitando gli appartamenti, la sala da parata, i salottini tappezzati con carte dai richiami esotici; camminando in un trionfo di stucchi, marmi, affreschi, mobili e arredi preziosi, per incontrare, nella chiesa di San Liborio, l’organo settecentesco dei Fratelli Serassi e le scene bibliche affrescate da Antonio Bresciani. Le volte dell’osservatorio astronomico sono decorate con la rosa dei venti, i segni zodiacali e il trompe l’oeil di una balconata. Abbraccia la Reggia un giardino progettato da Ferdinando Galli Bibiena nel ’700, miscela verde francese e italiana. Ai tempi del manicomio era divenuto un campo da calcio per gli internati.

Il secondo appuntamento con il culatello avviene il giorno dopo. Tregua dalla pioggia mentre vai verso la Rocca Meli Lupi di Soragna, uno dei 22 castelli che compongono il circuito dei manieri nei territori di Parma e Piacenza. Le colline ammorbidiscono il paesaggio, lo sguardo vaga senza incontrare disarmonie. La Rocca è un susseguirsi di ambienti inneggianti al Barocco e di affreschi firmati da nomi illustri (i Bibiena, dell’Abate, Galoni…). Il parco all’inglese infonde la stessa calma che leggi nel signore venuto a salutarti a visita finita. Discendente dei Meli Lupi, inquilino del sontuoso edificio, rappresenta perfetto esempio di understatement a cominciare dall’abbigliamento. Se lo incontrassi in un’osteria affollata, troveresti naturale chiedergli il permesso di accomodarti al suo tavolo. Il culatello viene servito d’ufficio la sera, al ristorante della Locanda Stendhal. Che tu abbia ordinato pesce, ciò non estromette il principe del desco. E allora vai, proibito avanzare.

Una capatina da Giuseppe Verdi tocca farla per via del bicentenario della nascita. La casa natale è a Roncole, Parmense; Villa Verdi in quel di Sant’Agata di Villanova sull’Arda, Piacentino. Il luogo dove il Maestro nacque il 10 ottobre 1813, registra ininterrotto flusso turistico. Un giovanotto spiega che gli spazi erano adibiti a osteria e ad abitazione dei Verdi, famiglia di un certo agio economico. Lasciati volutamente spogli, comprendono la cantina e la stalla, su cui affacciava la stanza di Giuseppe. A Villa Sant’Agata il silenzio è regola non scritta, ma che viene spontaneo osservare. Sei ettari di verde, il laghetto, la grotta, oltre cento specie di piante, abbracciano un edificio sobrio e quieto, ristrutturato su progetto dello stesso Verdi, che fu anche imprenditore agricolo di grandi capacità, con alle dipendenze decine e decine di lavoratori. Se una musica verdiana accompagnasse la visita, perfetto sarebbe il Va’ pensiero, perché i pensieri corrono paralleli alle emozioni mentre in punta di piedi entri nel Salone rosso, nella camera di Giuseppina Strepponi (cantante eccelsa e compagna di vita), nello spogliatoio, nella camera del padrone di casa, muovendoti tra oggetti personali, ricordi di tournée, spartiti, pianoforti, libri, bauli.

Verdi morì il 27 gennaio 1901 nella stanza 157 del Grand Hotel et de Milan. Quella stanza, con i mobili originali, è stata ricostruita qui. In una vetrina, la camicia da notte indossata per l’ultima volta e le palme deposte sul letto in segno di omaggio.

Castell’Arquato, Piacentino, culatello numero tre e seguenti. Pensi più alla Toscana che all’Emilia salendo verso il borgo, costruito secondo i canoni romanici e gotici. E sembrano toscani la Piazza Alta, il Palazzo del Podestà, la Rocca Viscontea, i palazzotti nobiliari, la fontana del Duca, il Torrione farnesiano. Capolavoro che ogni regione vorrebbe, la Collegiata di Santa Maria Assunta, VIII secolo, ricostruita dopo il terremoto del 1117. La pietra arenaria fa da tela di fondo per affreschi quattrocenteschi, dal recinto del chiostro si accede al Museo e alle sue collezioni. L’orgia di culatello trova giustificazione, se richiesta, nei festeggiamenti in corso: quelli del Santo Patrono e del 25 aprile. Due festeggiamenti in uno, lo ha deciso il sindaco. Ma il sindaco, da che parte sta, chiedi vagamente sospettoso. Dalla parte della Lega. In Emilia. Culatello numero tre e seguenti. Per trovare consolazione.