Negli anni Ottanta era l’unica regista donna di quella che venne chiamata la New Wave di Hong Kong – insieme tra gli altri a Tsui Hark, John Woo, Allen Fong – con Boat People (1982), una storia di migranti vietnamiti in Corea del sud, aveva conquistato l’attenzione della critica internazionale. Da allora di film ve ne sono stati molti altri, alcuni presentati anche alla Mostra di Venezia (A Simple Life, 2011; The Golden Era, 2014) che le ha dedicato quest’anno il Leone d’oro alla carriera – condiviso con Tilda Swinton; una bella scelta che premia due artiste di talento, capaci di confrontarsi in modo vitale con le proprie scelte artistiche al di là e dentro le questioni di genere. Love After Love, il nuovo film di Ann Hui, presentato fuori concorso (e tra i migliori visti finora), è un melò nella Hong Kong prima della seconda guerra mondiale, racconta di un amore che è un’ossessione distruttiva, inspiegabile fino a diventare l’illusione di una vita e la sua condanna. E insieme, nei diversi personaggi, come sempre nel cinema della regista, intreccia altre suggestioni, la storia della colonia, le sue eredità di «meticciato» religioso e culturale, le differenze nel rapporto con la Cina.

WEILONG, la protagonista (Sandra Mia) viene «adottata» dalla zia, Madame Liang, ricca vedova la cui grande villa è il più ambito luogo di ritrovo della città, vi si incontrano uomini potenti, signore benestanti, militari inglesi, quasi tutti non più giovanissimi in cerca di emozioni che i giovani della casa, belli e irrequieti, ragazze e ragazzi offrono in cambio dei soldi che non hanno per studiare o per qualche lusso. Uno è George, «meticcio», la madre era europea, lo vogliono tutte, lui è inafferrabile, cerca l’istante dice la sorella, l’amore per lui è solo lì.

È ANCHE uno degli amanti di Madame Liung (Faye Yu), piena di fascino e crudeltà; devi imparare un po’ a comportarti dice subito alla nipote goffa e timida, lei lo ha fatto, sa sempre quale è il gesto giusto, i vestiti (i costumi magnifici sono di Emi Wada), il rossetto, le parole, controlla le sue emozioni per scrivere la trama delle esistenze altrui, quasi ne fosse l’autrice, forse per vendicarsi di una vita frustrata, delle umiliazioni, delle nozze con un uomo che non amava.
È un paesaggio femminile quello che mette in scena la regista che si muove tra stanze e giardini, quasi esclude il mondo «fuori» per trasportarlo negli interni dove trova una sua rappresentazione mai sottolineata. L’immagine di Hui è morbida e sontuosa – illuminata dalla luce di Christopher Doyle – avvolge i personaggi, li accompagna negli spazi che abitano e che si fanno racconto delle loro esistenze, dei conflitti di una realtà che sono destinati a non controllare, di una indipendenza che negata dalla società, dalla cultura, dai pregiudizi. Cosa nascondono, cosa vogliono davvero?

LE DONNE, che anche quando hanno un potere come la zia rimangono ai margini o sono messe al bando dalla morale, e soprattutto i giovani che le generazioni più vecchie usano, calpestano, manovrano per le loro ambizioni, per gioco, con egoismo, senza cura, senza neppure lasciargli un’illusione. Restano delle tracce in cui ci conduce, un gioco di specchi nei cui riflessi entra con grazia la musica di Sakamoto.
A chi le chiede delle manifestazioni di queste settimane contro il rinvio delle elezioni e il controllo sempre più stringente della Cina, Ann Hui preferisce non rispondere in modo diretto, il produttore del film che le sta accanto è cinese e come spiega la regista ha dovuto affrontare molti problemi per ridurre i tagli della censura. E aggiunge: «Love After Love film parla di giovani insofferenti nei confronti di un mondo di vecchi». Proprio come i ragazzi in strada a Hong Kong questi mesi.