«Persepoli è come il tetto del mondo, così vasto, alto, aperto, così sgombro di paura e di morte; così altero, che anche quando vi siamo sopra resta irraggiungibile», scrive Cesare Brandi in Persia mirabile (Einaudi 1978; Editori Riuniti 2002). All’indomani dell’accordo sul nucleare iraniano, la Fondazione Aquileia ha voluto rendere più vicina all’immaginario occidentale la cosmopolita civiltà dei persiani con una mostra dal titolo Leoni e Tori. Dall’Antica Persia ad Aquileia. A cura di Cristiano Tiussi e Marta Novello, l’esposizione è ospitata fino al 30 ottobre presso il museo archeologico di Aquileia e si configura come la seconda tappa del progetto Archeologia Ferita, che lo scorso anno ha accolto nella stessa sede reperti provenienti dal museo del Bardo di Tunisi.

A quindici anni dalla rassegna I tesori del Museo Nazionale di Tehran e la ricerca italiana in Iran tenutasi a Roma, l’arte delle dinastie achemenide e sasanide torna a risplendere nel paese che, in occasione della visita del presidente Rohani, ha oscurato l’impudica bellezza delle Veneri capitoline.
Non direttamente collegata alle tragiche vicende del patrimonio medio-orientale colpito dall’Isis, la mostra in corso si richiama invece ad un’antica ferita che accomuna Aquileia e Persepoli.

Vittima della devastazione di Attila la prima, distrutta dal fuoco di Alessandro Magno la seconda, eppure entrambe impresse nella memoria culturale dell’umanità e per questo portatrici di un rinnovato messaggio di dialogo. I venticinque oggetti in prestito dai musei di Tehran e Persepoli – valorizzati dall’allestimento essenziale ma elegante dello Studio Mod.Land – sono tutti di pregevole fattura. Sculture e ornamenti in metalli preziosi, vasi rituali e frammenti di capitelli con protomi taurine tracciano – in miniatura – la storia di un popolo tra i più ammirati e temuti del passato.

Frammento di capitello achemenide con protome taurina androcefala (VI-IV sec. a.C) - ©gianlucabaronchelli
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Come scrisse in uno dei suoi saggi Italo Calvino, recatosi in Iran nel 1975 per conto della Rai, la reggia di Persepoli è «l’utopia dell’impero perfetto». Concepita da Dario I e da lui in parte realizzata a partire dal 520 a.C., venne proseguita dai successori Serse I e Artaserse I. Integrata da Artaserse III, non verrà mai portata a termine. Immerse in una distesa desertica tra Tehran e Shiraz, le rovine di Persepoli si ergono ancor oggi sulla piattaforma artificiale ricavata da banchi di roccia, all’ombra dell’imponente Monte della Misericordia. Sulla sommità di questa terrazza, la cui altezza massima è di diciotto metri, sono visibili i resti di maestosi edifici adibiti a cerimonie ufficiali, la più importante delle quali era Nouruz, il capodanno.

L’immensità dell’impero si dispiega nei rilievi che fiancheggiano le due scalinate dell’Apadana, la sala per le udienze del sovrano: due grandi cortei che si vengono incontro, da un lato le guardie persiane, mede e susiane; dall’altra i tributari dei diversi paesi divisi in venticinque delegazioni. «Questo è il regno che io posseggo, dal paese dei Saka, che sono in questa parte della Sogdiana, fino a Kush, dall’India fino a Sardi. Ecco quello che Ahura Mazda mi ha concesso, egli che è il più grande degli dèi», recita un’iscrizione incisa in tre lingue – elamitica, persiana antica e babilonese – rinvenuta nelle fondamenta della costruzione.

Il potere regale che attacca il nemico è un motivo iconografico ricorrente a Persepoli e si riconosce nel leone che azzanna il toro. Una seconda ipotesi identifica tuttavia il leone con il Male e il toro con il Bene mentre altri ravvisano nella scena la vittoria del Sole sull’Acqua o sulla Luna. Ed è proprio questo universo animalesco rappresentato nelle forme della scultura e dell’arte suntuaria ad illustrare il percorso espositivo della rassegna di Aquileia. Superbo il rhyton (vaso per libagioni) in oro con protome di leone alato risalente al V secolo a.C. e significativi per il retaggio mesopotamico dei dettagli i due frammenti di capitello achemenide con protomi taurine androcefale datati tra il VI e il IV secolo a.C.

Ma il reperto più impressionante è senza dubbio il piatto in argento con scena di caccia equestre al leone, espressione altissima dell’arte sasanide, ultimo bagliore dell’impero iranico prima della conquista islamica.