«Sognare conviene, non c’è neppure bisogno che i sogni si avverino» diceva Damien Chazelle alla scorsa Mostra di Venezia parlando di La La Land che è stato scelto – con molta lungimiranza – come titolo di apertura (anche in concorso) della scorsa edizione dove Emma Stone ha vinto la Coppa Volpi per la migliore attrice – difatti ieri la Mostra ha applaudito non senza orgoglio i sette Golden Globes che sottolineano anche il successo della linea editoriale del festival.

 

 

Quella «terra» dove tutti cantano come nei musical di una volta è una terra di sogni e di stelle, la Los Angeles dei divi e degli studios dove Mia (Emma Stone) sogna di diventare un’attrice e intanto – come nelle migliori storie del cinema – serve cappuccini in un bar dei Warner Bros Studios, mentre Sebastian (Gosling) sogna di aprire un jazz club dove si suona solo il jazz e per vivere fa il pianista di piano bar nei ristoranti e alle feste di lusso. E un sogno era pure questo film per il suo giovane regista, 31 anni, il successo arrivato con il precedente Whiplash, premi ovunque e plauso della critica, ma in testa un’idea fissa: rifare il musical come un tempo, gusto «vintage» e non postmoderno.

 

 

Chazelle ha girato in pellicola, solo canzoni e musiche originali, tra i suoi ispiratori c’è Jacques Demy con Les Parapluies de Cherbourg. «Il problema era riprodurre il vecchio metodo hollywoodiano. Oggi non si fanno più musical perché il lavoro deve essere tutto coordinato: il set, i colori, le canzoni, la sceneggiatura. E non c’è più tempo. Perciò noi abbiamo affittato un vecchio residence, ci trovavamo lì insieme, attori e troupe, a guardare vecchi musical».

 

 

Ma in questo sogno, nei colori accesi delle macchine e dei vestiti, tra i cieli stellati, sulle freeway brucianti che aprono il racconto e tra i vecchi film che i due ragazzi guardano in qualche invisibile cineclub d’autore, Chazelle immette la «vita vera» perché «non si può vivere solo in un musical». La riuscita a cui aspirano i due protagonisti, il successo, arrivano però l’amore che li univa prende direzioni diverse, la vita vera e quella sognata si separano come di fronte a un bivio, forse inevitabile, che rompe l’incanto dei loro primi incontri. Ed è anche ciò che rende il film «speciale» (in sala il 26 gennaio), non solo un esercizio di stile o un gioco di citazioni.

 

 

Altri sogni  sono quelli di Elle, il film per cui Isabelle Huppert ha vinto come miglior attrice e Paul Verhoeven il miglior film straniero. Fantasmi forse più che sogni, fantasie con l’umorismo di una impertinenza oggi quasi tabù, eppure – e non solo nell’immaginario – sempre più necessaria.