Francesista traduttore e curatore di Apollinaire e di Corbière, romanziere in proprio (Cani sciolti, La croce tatuata, La vita personale) e autore di biografie romanzate di Moravia, Silone, Pasolini e Amelia Rosselli, Renzo Paris ha recentemente licenziato per Stampa 2009 editore, la raccolta poetica Magico respiro (pp. 96, euro 13, prefazione di Maurizio Cucchi), ultima parte del quadripartito canzoniere, iniziato nel 1980 con Album di famiglia.

IN QUESTO LIBRO di poesie, Paris racconta in terzine narrative di diversa cadenza metrica sogni e meditazioni, angosce e illusioni, inquietudini e disorientamenti, attraversati nell’anno terribile della pandemia, fra il primo lockdown romano, il rifugio estivo nei suoi luoghi d’Abruzzo e il rientro in città nel secondo coprifuoco. La partitura interna del volumetto scansiona perciò esattamente le tre fasi cruciali del primo anno pandemico e il dettato poetico procede con una prosodia di ritmo melodico costante, ma sapientemente variato in intensificazioni e abbandoni musicali interni, ad esprimere il succedersi degli stati d’animo e delle sensazioni, che, fra stupore e paura, le immagini della realtà quotidiana stravolta, disgregata e svuotata, le ansie di un pensiero incerto e impotente a darsi conto dell’accadere e l’intrecciarsi ansioso di ricordi e di fantasmi vecchi e nuovi, hanno suscitato (e continuano a suscitare pulsanti sulla pagina) nel tempo di una pestilenza che non accenna a finire. Solo la consuetudine all’ironia classica dei suoi autori latini riesce a stemperare nei versi del poeta le ansie per lo sfarsi e il finire delle cose più normali della vita e a tenere a distanza, senza cancellarli o sminuirli, il terror panico e il senso di morte.

E LA POESIA SI OFFRE come raccordo fra i minimi accadimenti privati e un destino comune: «Rievocando la mia vita in quarantena. /Ritorno in corridoio trafelato, contando /I minuti dei miei attacchi di panico. /Questo mio ultimo libro al respiro / Intitolato è fatto di passi perduti In ascolto della voce antica, trascrivo / Quello che detta dentro il magico respiro».

COSÌ, LA PAROLA poetica riconosce nei comportamenti dei personaggi più disparati, dai senzatetto ai famigliari più vicini, l’irruzione capillare e devastante in un’esistenza quotidiana sospesa nell’ansia e nell’incertezza della temperatura autodistruttiva che da tempo caratterizza la civiltà globale, le cui manifestazioni di violenza e di morte ci eravamo assuefatti a relegare e rimuovere in scenari lontani di fame, di miseria e di guerra: «Eccola la guerra che nessuno voleva /Dispiegarsi nel coprifuoco mondiale. /Il nemico è invisibile. La pandemia non / Somiglia alle altre pestilenze del passato. /Sa di animali allevati e uccisi in massa».
I ricordi, gli incontri e le vicende di parenti, di conoscenti o di estranei si intrecciano alle immagini dei ritmi e dei riti naturali di rondini e di api (o di pipistrelli!) in un continuo sovvertimento dei piani e dei tempi dell’esistenza propria e della storia attraversata, che si popolano di fantasmi e inquietudini, di rimorsi e di rimpianti, in una continua gibigiana del senso e del valore delle cose, come in un confuso viaggio a ritroso nella memoria, in cui analessi e prolessi vadano in corto circuito: «In questo mio viaggio a ritroso /Terrorizzato dall’oggi infettato /spesso mi si parano davanti fantasmi //della mia infanzia sepolta. Sono le più /Intense emozioni di un’età /Che non contempla il ritorno. //Ho ricordi più che se avessi mille anni. /La mia vita interiore è affollata /Di spettri…».

MA ANCHE FUORI, nella storia di tutti, la pandemia produce la sensazione di un movimento del tempo bloccato in un ininterrotto e aggressivo corso e ricorso: «È tornato il picco degli infettati di febbraio. /Di nuovo le terrazze condominiali //si sono affollate, di nuovo le corse solitarie In famiglia distanziati tornano le violenze /Domestiche e le rapine anche ai volontari /Degli ospedali intasati di infetti…». E, seppur «nell’affabile, saggia normalità della sua pronuncia», come scrive Cucchi nella prefazione, la lingua poetica di Renzo Paris non cerca riscatti né edulcora tregue, non regala facili consolazioni, ma chiama nel lettore una presa di posizione su ciò che la minaccia pandemica rivela di noi: «L’amore /Dici, il vero amore, è confortarsi nel pericolo. //Non ho futuro, ti rispondo, ho rincorso la vita /Immaginandola, strologando con i miei /Ultimi scongiuri come uno sfigurato //Sciamano di città».
E l’ascolto interiore dei ritmi e della musica del suo dettato poetico immerge in una sorta di eccitazione sensoriale che acuisce la percezione della realtà rispetto all’ordinario: rivedere le stesse immagini che tutti si son viste, ripensare gli stessi pensieri, riprovare sentimenti e risentire sensazioni attraverso la sua poesia non è ripetizione, ma rivelazione e nuova appropriazione.