C’è sempre un buon motivo per fare una puntata a Buti, remoto spicchio di Toscana che fece innamorare persino un «orso» come Jean-Marie Straub. Prelibatezze gastronomiche e raffinatezze teatrali. Imbandite, queste, sul palco all’italiana del Francesco di Bartolo, da Dario Marconcini. Ad attrarci ora, un poderoso titolo, Trattato di economia, mitigato da un «coreocabaret confusionale sulla dimensione economica dell’esistenza», capricciosa chiosa da Serata Satie. Artefici del progetto, battezzato con successo al Vascello di Roma per il festival Teatri di Vetro, sono Andrea Cosentino, attore, narratore, creatore di storie dai confini metafisici, e Roberto Castello, danzatore, coreografo, anima di Aldes, pure lui estroverso «intrattenitore» di dinamiche scomposte.

Seduti al tavolo, conferenzieri azzimati, Andrea e Roberto iniziano, con freddo determinismo da esperti in materia, a spiegarci, mettendo a confronto una paperella e un fallo di gomma – stesso peso, stessa quantità di materia, stesso ludico intrattenimento ma prezzo ben diverso – come vanno le cose in fatto di economia globale, finanza imperante, banche ladrone e sopravvivenza creativa. Ma non si tratta tanto di informarci o educarci (al peggio) quanto di stuzzicare l’idea che se un’altra struttura economica non è realmente possibile, possibile è l’idea che di essa dobbiamo avere: una bolla destinata a scoppiare prima o poi, a inghiottire il futuro e a navigare trascinata dalle correnti come «l’isola dei rifiuti di plastica», alla deriva negli oceani e galleggiante nella nostra quotidiana disperazione. Dove vanno i finire i nostri soldi?

Nello spreco più inutile e nell’accumulo più scellerato. Cerimonieri e imbonitori, affabulatori e animatori, Castello e Cosentino creano un esilarante cabaret futurista, giocano di rimessa, l’uno spalla dell’altro, e sfoderano l’arte del paradosso, solo antidoto all’illogicità delle cose. Il risultato è una bizzarra operetta morale, narrativa e performativa, che si interroga sul denaro, la sua invadente onnipresenza e la sua sostanziale mancanza di rapporto con la realtà, e che alla fine, consapevole dei propri limiti, e prendendosi gioco di se stessa, si fa recensire in video da Attilio Scarpellini che, rispettando l’assurdità dell’impianto, lo spettacolo non l’ha visto. Se le leggi del mercato sono fasulle anche il teatro in qualche modo si deve adeguare. Ma con intelligenza. Come in questo caso.