Lunedì notte, 27 gennaio, le donne e gli uomini «democratici e progressisti», antifascisti e antirazzisti, hanno sicuramente tirato un respiro di sollievo nell’apprendere della sconfitta di Salvini e dello scampato pericolo nero in Emilia Romagna. Dopo la presa di Pisa e di Siena, dopo aver visto Salvini affacciarsi dal balcone del Palazzo comunale di Siena, che custodisce gli affreschi del «buon governo» di Ambrogio Lorenzetti, certo vedere Salvini in Piazza Maggiore, davanti alla basilica di San Petronio, sarebbe stata una sofferenza non di poco conto. E dunque il presidente Bonaccini ci ha salvati dai barbari? E con noi e insieme a noi ha salvato il governo Conte? La patria? la nazione civile? L’Occidente europeo?

Se la salvezza della civiltà europea occidentale sta in un governo regionale che ha privatizzato gran parte dei servizi e in coerenza ha avanzato la richiesta di quella autonomia differenziata contro cui questo giornale ospita gli articoli lucidissimi di Massimo Villone e la campagna del Comitato per il No, c’è qualcosa che non torna. Oggi per la paura dei «barbari», autorevoli editorialisti di «sinistra» invitano a far quadrato intorno al Pd, esprimendo valutazioni fra il preoccupato e lo sprezzante nei confronti di chi ritiene certo non che destra e Pd siano la stessa cosa, ma che il Pd sia l’espressione più compiuta (e peggiorativa) di quel neoliberismo di «sinistra» che a livello europeo ha determinato le sconfitte dei socialdemocratici e le vittorie delle destre neoliberiste travestite da sovraniste; tanto più che se la socialdemocrazia fa politiche neoliberiste gli «scarti» sociali dello sviluppismo riterranno sempre di salvarsi nei sovranismi rancorosi che propugnano l’antisistema.

Ora, che le piccole formazioni professino una critica profonda, radicale, del neoliberismo sociale, culturale, politico come causa primaria di quel malessere sociale e di quel rancore di cui si nutrono i populismi di destra non viene nemmeno preso in considerazione.

Il massimo che viene ammesso da una certa «sinistra» è la benevola concessione a farsi costola del Pd. Esemplare è la questione immigrazione: dalla legge Turco-Napolitano fino a Minniti è stata una rincorsa a chi diminuiva gli sbarchi, a chi rimandava più esseri umani «indietro», a chi faceva più accordi coi trafficanti libici, a chi decideva che il lager libici costituivano luoghi sicuri, fino a elogiare la dura e seria fermezza di Minniti contro le chiacchiere della propaganda di Salvini.

Ma non ci si rende conto che, se il pericolo nero è alle porte, non c’è salvezza nella rassegnazione? Che possiamo solo praticare una paziente, tenace, lucida opera di ricostruzione di un’alternativa sociale, culturale, politica, un nuovo senso comune che, facendo tesoro del gramsciano «spirito di scissione», decostruisca non solo la narrazione delle «invasioni» dei migranti ma anche ogni propaganda di «crescita» sviluppista. E senza questa prospettiva passano la narrazione del rancore populista, l’individualismo sfrenato e corporativo del «prima gli italiani», e persino quel «prima il petrolio» che impedisce a questo governo «salvato» persino di ritirare l’ambasciatore italiano dal Cairo. E se si vuole tenere aperta la critica della dittatura del presente, oggi almeno si faccia perno sulla battaglia per il proporzionale puro che demolisca la falsa e pericolosa illusione del «voto utile» (o disgiunto), perché poi non si capisce utile a che cosa e per che cosa.