La campagna elettorale parte in pompa magna a Milano, ma gli occhi restano puntati su Roma, perché è nella Capitale reale, non in quella morale, che le incognite proliferano e la diplomazie si danno di conseguenza maggiormente da fare.
A Milano il quadro è tutto sommato chiaro. Sala e Parisi, i due manager tanto simili in tutto che si fatica a distinguerli persino a occhio nudo, si sono presentati, si sono attaccati, hanno fatto promesse. Sala ha agitato il fantasma vociante di Matteo Salvini: «Se vince Parisi governerà lui». Il presunto pupazzo ha smentito: giammai. Il sindaco uscente, Giuliano Pisapia, è soddisfatto: «Abbiamo lavorato per un centrosinistra ampio e coeso. Ce l’abbiamo fatta».

Sala promette che non esorbiterà di un millimetro dal percorso tracciato dal predecessore, e Sel milanese, che ha scelto di partecipare alla coalizione in controtendenza con l’indirizzo della nascente Sinistra italiana, si candida al ruolo di guardiana della continuità.

Il candidato della sinistra, invece, ancora non c’è. L’assemblea della Lista Tsipras a Milano di ieri avrebbe dovuto lanciare Curzio Maltese, ma dopo il suo rifiuto non se ne è più fatto niente. Alla fine, quasi certamente, sarà in campo Basilio Rizzo, che è certamente un ottimo nome ma che, con oltre 30 anni di presenza nel consiglio comunale, è davvero solo una candidatura di bandiera.

La partita, nella città lombarda, se la giocheranno veramente soltanto i due manager. Sala parte con un vantaggio netto di almeno 4 o 5 punti percentuali, stando ai sondaggi. Tutto il centrodestra in coro assicura che lo recupererà e in effetti la sensazione diffusa è che un po’ stia davvero accorciando le distanze.

A Roma invece la musica è diversa. La confusione impera da un capo all’altro dello spettro politico e le incognite sono ancora troppe per azzardare previsioni.

La principale ha le fattezze dell’ex primo cittadino, Ignazio il Marziano. Si è preso un week end di riflessione. Nessuno sa cosa abbia intenzione di fare anche se le previsioni, che valgono quel che valgono, lo danno in campo.

Già, ma quando? Il 31 marzo arriverà nelle librerie il suo già chiacchieratissimo libro. Promette rivelazioni, assicura fendenti che lèvati. Essendo il lancio del volume-molotov uno degli ostacoli alla discesa in campo, dal momento che qualche comparsata televisiva in meno toccherebbe scontarla, l’ipotesi di un ulteriore rinvio della sofferta scelta, sino a primi giorni di aprile, a lancio del libro avvenuto, è concreta.

Sarebbe un ulteriore guaio. Stefano Fassina non ha alcuna intenzione di fare passi indietro.

All’ultima riunione dei suoi sono arrivati anche i civatiani, sia pur con riserva in caso di candidatura di Marino, ieri 100 sindacalisti hanno firmato un appello a suo favore. L’unica per evitare il disastro annunciato di una doppia candidatura restano le primarie, sempre che i contendenti accettino e non è affatto detto. Però il tempo stringe, oltre il 10 aprile non se ne parla proprio. Se l’ex primo cittadino si deciderà davvero nei prossimi due giorni ci sarà ancora tempo, in caso contrario evitare la sciagurata doppia candidatura sarà un’impresa.

Nella destra divisa in quattro, una semplice doppia candidatura sarebbe da brindare.

Il più attivo in campo, in questo fine settimana, è Pier Casini. Lui, per lo meno, una strategia in testa ce l’ha. Vuole spingere l’ex alleato di Arcore a convergere su Marchini abbandonando Bertolaso, come primo passo verso una «ricomposizione del centro». L’ex presidente della Camera assicura in privato di aver già discusso la strategia con i pezzi da novanta del partito Mediaset, trovandoli entusiasti. Per la verità da quelle parti c’è chi, come Ghedini, segnala che un’alleanza del genere, da sola e senza «i populisti», cioè Lega e Fdi, non andrebbe molto lontana neppure se Fi toccasse un oggi difficilmente raggiungibile 20%.

Se mai si deciderà al passo indietro, il sovrano spodestato, lo farà a favore di mamma Giorgia. In quella direzione tirano i nordici, con in prima fila Toti l’ultimo arrivato nella foltissima squadra dei «traditori».

Senza dimenticare Storace, la cui presenza o meno in campo farebbe per la Lupa una certa differenza. Bertolaso si è rifiutato di incontrarlo: «Ma se mi ha coperto di contumelie fino a ieri!». Si può scommettere che Giorgia Meloni si dimostrerà più malleabile.