L’irritazione di Bruxelles, mai così gelida, mai tanto esplicita, non scalfisce il segretario del Pd. Matteo Renzi insiste e aggiunge un granello di irrisione, certo non gradita negli austeri palazzi del potere europeo. «E’ un film già visto», commenta dai microfoni di Radio Kiss Kiss, ed è probabile che già solo la sede scelta sia un boccone amaro per gli interlocutori. «Quando tre anni fa abbiamo fatto la battaglia per la flessibilità l’Europa diceva ’Non esiste’. Nel giro di sei mesi, combattendo una battaglia durissima, la flessibilità ce la siamo presa. Vinceremo la partita». Sempre che, specifica poi su Facebook, ci sia un governo in grado di giocare la partita. La proposta di abbassare il debito portando al 2,9% il parametro «può essere realizzata solo se l’Italia è forte, con un governo di legislatura davanti».

L’intemerata di ieri, proprio come la minaccia di bloccare il Fiscal compact del giorno precedente, è fuffa. Non è con Renzi che la Commissione europea deve trattare, per quanto potente sia il segretario del partito di maggioranza, ma con il presidente del consiglio e soprattutto con il ministro dell’Economia.
L’imbarazzo del povero Pier Carlo Padoan, in effetti, è vistoso: il peso delle parole di Renzi ricade tutto su di lui. Casomai non se ne accorgesse da solo, ci pensa il vicepresidente della Commissione, il falco Valdis Dombrovskis, a ricordarglielo: «Stiamo lavorando con il governo italiano, il suo primo ministro e il ministro Padoan. La base del nostro lavoro, che servirà per la valutazione dei progressi dell’Italia, è il Def, il programma di stabilità presentato dal governo italiano». Tanto varrebbe riassumere in un secco «Renzi chi?».

Padoan, però, è ancora una volta tra l’incudine e il martello, perché lui non può mica cavarsela così a buon prezzo. Per il governo di cui fa parte Matteo Renzi tutto è tranne che un signor Nessuno. Così il ministro dell’Economia, a Bruexelles per l’Ecofin, si arrampica sugli specchi, si dice d’accordo con il segretario del Pd sul fatto che «il debito si abbatte con la crescita». Però quando i giornalisti, in conferenza stampa, incalzano, il pacato Padoan perde la pazienza e sbotta. La proposta Renzi? «Non mi riguarda. E’ un giudizio espresso esternamente al governo. Non c’è dubbio che questo governo produrrà una legge di bilancio in coerenza con quanto è stato fatto per la semplice ragione che va nella direzione giusta».

Felpatezze diplomatiche a parte, significa che il governo procederà sulla strada indicata da Bruxelles. Sempre che Renzi glielo consenta. L’offensiva di questi giorni (questa mattina il leader dem presenterà in pompa magna il suo libro Avanti, già ampiamente anticipato sui quotidiani) serve ad alimentare la propaganda imponendo l’immagine di un Matteo Renzi ruggente e guerriero, capace di sfidare l’Europa. Ma senza poi dover combattere davvero, dal momento che non è lui a governare. Serve anche a smarcarsi in anticipo dalla finanziaria che Paolo Gentiloni e Pier Carlo Padoan dovranno varare sotto il controllo occhiuto dei vari Dombrovskis, Dijsselbloem e Schaeuble.
Almeno in parte il tentativo di anticipare le elezioni politiche serviva proprio a non doversi presentare di fronte alle urne con alle spalle una legge di bilancio sanguinosa. Sfumata quella possibilità, Renzi deve trovare un’altra via d’uscita e l’unica sembra essere separare agli occhi degli elettori il proprio nome dalle scelte del governo. Una cosa è il tandem “moscio” Gentiloni-Padoan, tutt’altra sarebbe se al timone ci fosse il combattente di Rignano.

E’ una strategia mediatica che però non potrà non avere ricadute concrete ed è pertanto ad alto rischio. La prossima finanziaria verrà votata con il fiato della campagna elettorale sul collo, cioè con i partiti costretti a misurare col bilancino i costi delle loro scelte in termini di popolarità, con lo spettro delle elezioni anticipate, che è a tutt’oggi la vera “clausola di slavaguardia” che protegge l’esecutivo, ormai fugato e con una maggioranza lacerata.

Ieri Roberto Speranza, commentando per l’Mdp la proposta dell’ex premier e segretario del Pd, ha affondato la lama: «Quella di Renzi è una cosa vera o è una presa in giro? Se è una cosa vera si inizi da subito, dalla prossima legge di stabilità».

Se non vuole che le sue parole suonino come pure spacconate Renzi dovrà almeno in parte intervenire sulla legge di bilancio. E dovrà farlo nel momento di massima delicatezza, per il governo Gentiloni il più pericoloso in assoluto.