Il passato, con il suo inevitabile carico di nostalgia, è già «impresso» nelle immagini, nella scelta della pellicola in 16 mm e del formato 4:3 fatta da Jonah Hill per il suo debutto alla regia (e alla sceneggiatura): Mid90s, presentato nella sezione Panorama dopo il debutto al Festival di Toronto. Dichiarata dal titolo stesso, la collocazione temporale della storia sembra ricondurre Mid90s alla recente ondata di film e serie tv che fanno appello all’ «effetto nostalgia» – specialmente degli anni 80 e 90 – costruendo la narrazione sui segni dell’infanzia o dell’adolescenza perduta di almeno due generazioni. Per Jonah Hill, nato nel 1983, il ricorso al passato ha però innanzitutto una componente di sincerità, la necessità di fare riferimento alla propria stessa formazione nel raccontare quella del suo protagonista, il tredicenne Stevie (Sunny Suljic), a prescindere dal fatto che il film non è autobiografico.

INFATTI sin dalle prime sequenze, in cui Stevie è vessato dal fratello più grande nella modesta casa di Los Angeles dove vivono insieme alla madre single, lo troviamo immerso fra i «reperti» di quell’epoca, da quelli più globalizzati – la Play Station, la maglietta di Street Fighter II – a quelli più propriamente americani e californiani come il Big Brother Magazine, dedicato alla cultura dello skateboard: la comunità cioè che accoglie Stevie nella sua ricerca adolescenziale di un’identità e un’appartenenza: «Volevo raccontare cosa significa trovare un gruppo di persone che desideri far diventare la tua famiglia», ha spiegato Hill. Ma questi «reperti» non invadono il film e sono anzi dosati con cautela, come nelle belle musiche di Trent Reznor e Atticus Ross che solo in alcuni momenti sono intervallate dalla colonna sonora di quegli anni: Cypress Hill, Wu-Tang Clan, Nirvana – Where Did You Sleep Last Night accompagna la festa alla quale Stevie, terrorizzato, si chiude per la prima volta in una stanza con una ragazza solo per poter poi impressionare i nuovi amici fra i quali il suo idolo Ray (Na-kel Smith) , il «capobanda» più dotato di tutti con lo skate.

«ABBIAMO fatto riferimento a molti film sull’adolescenza – dice Hill – da Streetwise a Stand by Me e soprattutto Kids di Larry Clark», ispirazione sottolineata da un breve cameo dello sceneggiatore di quel film uscito proprio a metà degli anni Novanta, Harmony Korine. «Kids è un film fondamentale per me – continua il regista – ma nel profondo è un’osservazione del nichilismo, mentre il mio intento era raccontare rapporti di amicizia, affetto e speranza cercando di non scadere nel sentimentalismo». Se infatti dopo l’incontro con i suoi nuovi amici Stevie cresce troppo presto e «pericolosamente», è proprio il sincero affetto tra i ragazzi (e di Jonah Hill per loro) a rappresentare il cuore di Mid90s, che pure si confronta apertamente con quelli che Hill sente essere i limiti di quel mondo e di quegli anni, e in parte della propria stessa carriera di attore che ancora fatica – a detta dello stesso Hill – a liberarsi dell’immagine un po’ «maschilista» delle commedie che lo hanno reso famoso. «In quegli anni – chiosa il regista – la mascolinità significava non mostrarsi mai fragili, controllare i propri sentimenti, qualcosa che volevo mostrare nel mio film senza alcun genere di commento». È questo il mondo in cui, nel bene e nel male, Stevie smette di essere un bambino.