Che alla fine di una campagna elettorale fiocchino i colpi bassi è nell’ordine delle cose. Da nessuna parte la regola è tanto meticolosamente rispettata quanto nel rapporto tra due partiti che per la verità sono alleati da parecchie parti: il Pd e Sel.

Da qualche giorno Matteo Renzi non perde occasione per accusare «la sinistra masochista» che vuol perdere, gli eredi di un Bertinotti immaginato come lo dipingevano le imitazioni di Corrado Guzzanti, la sinistra che fa vincere la destra (il riferimento è in particolare alla candidatura del civatiano Luca Pastorino in Liguria, contro la renziana Paita). E dietro, come sempre, l’eterno ricatto del «voto utile». Alla fine ci si è messa pure la ministra della Difesa Roberta Pinotti, accusando questa volta direttamente Sel per le sue proteste contro l’acquisto dissennato degli F-35: ma come si fa, «in tempi di Isis»?. In Liguria, regione della genovese Pinotti, Sel sostiene Pastorino. E nemmeno in Campania, altra regione a rischio per il mattatore di palazzo Chigi, il partito di Vendola è alleato del Pd.

Ieri lo stato maggiore di Sel, il coordinatore Nicola Fratoianni e i capigruppo Arturo Scotto e Loredana De Petris, hanno convocato in tutta fretta una conferenza stampa. Un po’ per rispondere alla Pinotti: «Farebbe bene a ricordarsi di aver appoggiato tutte le guerre che hanno creato questa situazione e di essersi fatta criticare ovunque nel mondo per l’idea di spedire 50mila soldati in Libia», ha detto Scotto. Ma soprattutto per ribattere ai colpi sotto la cintura di Renzi: «Dopo la sentenza sul giudice naturale, De Luca non ha più possibilità di giocare sui ricorsi al Tar. E’ con la sua candidatura che si consegna la Campania alla destra», replica De Petris. Tutti hanno facilmente strappato la foglia di fico dietro cui si nasconde il premier-segretario in materia di impresentabili: «Come si fa a dire che nelle liste Pd non ce ne sono quando le liste collegate ne sono piene?».

Tra le politiche sempre più di destra del governo e qualche svarione di portata super come la farsa campana, una forza alla sinistra del Pd dovrebbe avere di fronte a sé una prateria. Ma Sel ha scelto di allearsi in molte realtà con quello stesso Pd che viene invece preso di mira tanto nelle altre regioni quanto al centro.

Passi il caso pugliese, dove peraltro Sel non si presenta con il suo nome. Michele Emiliano è sempre stato una sorta di outsider, visto a torto o a ragione come una sorta di battitore libero più che come espressione coerente del renzismo. Le cose stanno diversamente in Umbria, dove la decisione di sostenere la governatrice uscente Catiuscia Marini, stando ai sondaggi e alle sale vuote che costellano le iniziative, non pare aver soddisfatto la base di Sel. In quel caso, però, almeno la logica dell’alleanza è chiara: la vittoria del centrosinistra è, se non certa, probabilissima. La posta in gioco è dunque la partecipazione al governo della regione, con tanto di assessorato garantito.

Ben diverso il caso del Veneto. Basta farsi un giro in rete per cogliere quanto il sostegno ad Alessandra Moretti non sia stato digerito, anche perché staccare l’immagine della candidata da quella del fiorentino è proprio impossibile. Ma qui, a differenza che in Umbria, le chances di vittoria sono più o meno inesistenti. «La sconfitta non è affatto certa, anche perché l’astensionismo, comunque negativo, potrebbe danneggiare Zaia», replica il coordinatore regionale Dino Facchini. «Comunque – aggiunge – non si poteva perdere l’occasione offerta per la prima volta dalla spaccatura della Lega». Per la verità, però, la scelta era stata fatta prima di quella spaccatura, con quasi metà del partito veneto contrario. La chiave del mistero va piuttosto ricercata nella legge elettorale veneta: solo in coalizione Sel può sperare di ottenere, arrivando al 2%, un consigliere (e sarebbe quasi certamente Gianfranco Bettin). Forse quel 2% sarà raggiunto davvero. Ma quanto la posta di un eventuale consigliere valga la candela di un pesante danno d’immagine resta un mugugno fra gli iscritti. Per ora.