Andrea Segre è un regista che sa scrutare quel che succede intorno a lui. E lo fa indifferentemente curando lavori documentari o film a soggetto. E talvolta gli capita di non allontanarsi troppo da casa per realizzare i suoi racconti, è nato a Dolo, provincia di Venezia. E le prime luci elettriche di questa edizione numero 78 della Mostra del cinema sono tutte a firma sua. In preapertura ufficiale ecco La Biennale di Venezia: il cinema al tempo del Covid. Una ricognizione su tutto quanto ha informato l’edizione dello scorso anno, con problematiche inedite e soluzioni mai sperimentate prima, per poter offrire un festival in presenza in un periodo in cui altri appuntamenti sono saltati causa pandemia. Ma lo sguardo curioso di Segre non si è limitato a spiare sanificazioni e quant’altro hanno potuto consentire di realizzare la scorsa edizione, ha anche diretto un film a soggetto tutto ambientato a Venezia, e quasi tutto alla Giudecca: Welcome Venice, presentato dalle Giornate degli autori nell’ambito delle Notti veneziane. Ovviamente l’onda lunga della pandemia ha alterato i paesaggi e le persone. Ecco quindi due dei protagonisti, veneziani, che si fermano a guardare il Ponte dei Sospiri, osservandolo dal ponte pedonale, sottolineando come la cosa sarebbe stata impossibile qualche tempo fa perché il flusso frenetico, vere e proprie ondate di turisti, avrebbe travolto chi si fosse fermato per rimirare.

MA LA STORIA parte da una vicenda famigliare. Tre fratelli della Giudecca. Toni che prosegue la tradizione di casa, pescatore di moeche (sono quei piccoli granchi che cambiano carapace, pescate al momento opportuno e fritte sono una vera prelibatezza). Toni ha dato anche una nuova possibilità a Pietro uscito di galera dopo un tentativo di furto andato evidentemente male. Mentre era in carcere sua moglie è morta di malattia, non c’erano «schei» per curarla, così la figlia lo ha scaricato e solo ora sta riavvicinandosi al padre anche grazie al nipotino.
Poi c’è Alvise, che ostenta ricchezza e intenzioni speculative per offrire case lussuose ai ricchi turisti che dovranno pur tornare. E quando Toni muore improvvisamente Alvise vorrebbe utilizzare la casa di famiglia per trasformarla appunto in residenza di prestigio, ma Pietro è decisamente restio. Segre conosce il mondo che racconta e sa come raccontarlo. Un mondo in trasformazione. A cavallo tra passato e futuro. Così quando un pescatore dice «piove», l’altro replica «perché, ti fanno male le ossa?», «no, l’ho visto sul telefonino».

SI INSEGNA al nipotino a camminare sulle barene della laguna, si distinguono le moeche buone da quelle farlocche, e si distinguono anche i tipi di vino c’è quello scadente, che bevono i poveracci e il vin serio che bevono quelli che possono permetterselo. Poi ci sono i canali, i vicoli, la laguna, fotografata e disvelata con un affetto che solo chi ama profondamente questi luoghi può e sa fare. E non importa se «fatalità» qui assume un senso leggermente diverso da quello che si usa da altre parti. Fatalità non è tanto e soltanto qualcosa di incombente è davvero il fato che costruisce percorsi e destini. E soprattutto non bastano le lauree in economia e commercio per capire come funziona il cuore delle persone che non sempre coincide con il portafogli. Cuore che è anche quello dei personaggi che animano questa vicenda intima, quasi privata, eppure emblematica. Personaggi interpretati da Paolo Pierobon, Andrea Pennacchi, Roberto Citran e Ottavia Piccolo che da tempo ha eletto Venezia come sua residenza.