Nelle sue magistrali analisi storiche Fernand Braudel ha messo in evidenza come la nascita del capitalismo e la costituzione stessa dei nuovi Stati nazione siano comprensibili in modo approfondito solo facendo riferimento allo spazio: l’epoca moderna segnata dalle conseguenze dell’espansione europea nel mondo è l’epoca dell’appropriazione politico-economica dei piccoli e grandi spazi e dell’organizzazione degli scambi al loro interno. Per Braudel si può addirittura parlare di capitalismo in senso proprio solo se tiene presente l’affermazione di questo modello: trarre profitto, in modo tendenzialmente monopolistico, sfruttando la circolazione di beni e di denaro su larga scala. In questa fase «classica» della modernità, lo sviluppo della potenza è legato alla colonizzazione dello spazio.

LA FASE DELLA MODERNITÀ apertasi con la società industriale, nel XIX secolo, è invece l’epoca del tempo. Non è subito così: al contrario, l’Ottocento e il Novecento sono ancora secoli di centralità politica ed economica dei territori. Come di esaltazione della sovranità. Eppure, è l’industrializzazione stessa che porta con sé i germi di un mondo nuovo: la fabbrica porta con sé la separazione del «tempo di vita» dal «tempo di lavoro». E l’organizzazione di tutta la vita metropolitana e sociale intorno alla rigida scansione e organizzazione del tempo: è il trionfo del modello fordista-taylorista. Sin dagli anni Sessanta, l’oppressione e la lotta all’oppressione in tutte le sue forme, diventa lotta per la liberazione del tempo. E a sua volta, la capacità del capitalismo di rilanciarsi nonostante le continue crisi, passa per la capacità di aprire nuovi mercati in nome del tempo libero ridefinito come tempo del consumo.
Alla fine del Novecento, globalizzazione e rivoluzione tecnologica segnano da prima lo svincolarsi dello spazio dal tempo. E poi la colonizzazione e riorganizzazione di tutto il tempo di vita in funzione dell’accumulazione economica. Le dinamiche e le conseguenze di questo processo sono al centro dell’agile libro di Davide Mazzocco Cronofagia. Come il capitalismo depreda il nostro tempo (D Editore, pp. 202, euro 12,90).

PARTENDO dal saggio del 2015 di Jean-Paul Galibert dedicato al tempo nell’ipercapitalismo, Mazzocco mette al centro l’appropriazione del tempo da parte del capitalismo contemporaneo, principalmente attraverso i meccanismi della Rete. La cronofagia è il ritorno di un Crono digitale, in giacca e cravatta, che divora i suoi figli attraverso l’erosione dei tempi dell’inattività e, dunque, della non-redditività. A questo processo si accompagna la sovrapposizione della figura del consumatore con quella del produttore: il tempo apparentemente libero diventa la dimensione del lavoro gratuito, del consumo continuo, della connessione ininterrotta. Si è sempre lavoratori anche e soprattutto quando non si è fisicamente al lavoro.
La capacità del capitalismo contemporaneo, delle Reti, di generare valore sta dunque al margine: più nella possibilità che ha di aumentare la produttività nei tempi (formalmente) di non lavoro che in quelli di lavoro. La prima strada percorsa da questa strategia sta nell’annullare la distinzione tra il tempo diurno della vita attiva e quello notturno del riposo, della libertà, del non-lavoro. Seguendo compulsivamente una serie sul tablet oppure attraverso la possibilità offerta al consumatore di poter fare acquisti, fisicamente o attraverso la rete, 24/7.

LA SECONDA VIA sta nella riduzione sistematica dei tempi morti: lo smartphone è anche un meccanismo tramite il quale, durante gli spostamenti o le attese in coda da qualche parte, ci aggancia alla Rete; e ci rende, al meglio, continuamente produttori senza remunerazione di contenuti venduti dal social network o di fruitori/clienti di qualche servizio on-line. La cronofagia non si esprime solo a questi livelli economici immediati ma anche a livello sociale generale mettendo costantemente a valore economico il tempo delle persone. Innanzitutto pensando e ridefinendo luoghi e non-luoghi, dalle stazioni agli aeroporti fino all’intera città, in funzione del migliore sfruttamento dei grandi flussi di persone che li attraversano: il tempo dello spostamento diventa il tempo del consumo just-in-time.

Tutto viene ridefinito come un percorso programmato, un labirinto dello shopping veloce, sul modello di Ikea: come riporta Mazzocco il 60% degli acquisti fatti nella catena svedese è dovuta all’intrappolamento del consumatore dentro il labirinto Ikea, in modo da stimolare al massimo la voglia compulsiva di acquisto. Il secondo piano su cui si muove la cronofagia al livello sistemico è il sistematico oblio del passato: memoria, elaborazione, storia, sono tutti orpelli e pesi che vengono resi obsoleti ed inutili dalla diffusione del tempo-immediato.

DEL FETICISMO dell’istante. Dalla continua collezione di attimi continuamente riempiti di contenuti commerciali dal capitalismo delle reti e dei flussi quanto svuotato di senso complessivo. In conclusione l’analisi di Mazzocco mette in luce il complesso rapporto tra scarsità ed abbondanza che governa l’economia politica del capitalismo contemporaneo, sul terreno del tempo: uccidendo i tempi morti e rompendo i confini tecnici tra tempi di lavoro (economia) e tempi di non lavoro (vita quotidiana), il tempo diventa sempre più scarso nella vita di ciascuno. Tutti diventiamo i bianconigli di Alice nel paese delle meraviglie, continuamente in ritardo. Allo stesso tempo, alimentando questa scarsità, il capitalismo delle reti moltiplica e sostiene la propria abbondanza di offerta che rimarrebbe altrimenti invenduta. Ed è proprio sul crinale di questa contraddizioni che possono aprirsi gli spazi di nuove lotte sociali per la liberazione dell’umano dall’oppressione dei meccanismi economici.