Grazie a una astensione, senza alcun dubbio storica, degli Stati Uniti, ieri sera il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha approvato una risoluzione di aperta condanna degli insediamenti coloniali israeliani costruiti contro il diritto internazionale nei Territori palestinesi occupati. Le colonie – si legge nel testo – «non hanno validità legale». E’ il colpo di coda di Obama che Benyamin Netanyahu temeva e che ha cercato in tutti i modi di impedire. Gli Stati Uniti non possono appoggiare gli insediamenti coloniali e la soluzione dei Due Stati nello stesso tempo, ha spiegato la decisione di astenersi l’ambasciatrice americana all’Onu, Samantha Power. Rabbiosa la reazione di Israele. «Né il Consiglio di sicurezza dell’Onu né l’Unesco possono spezzare il legame fra il popolo di Israele e la terra di Israele», ha urlato l’ambasciatore israeliano all’Onu, Danny Danon sorvolando il “dettaglio” che i Territori palestinesi occupati non sono parte di Israele. Dopo aver sistematicamente bloccato all’Onu per otto anni ogni risoluzione di condanna dello Stato ebraico, Barack Obama ha inflitto un duro colpo a Netanyahu. Si è vendicato degli attacchi israeliani subiti per anni. Netanyahu inoltre non aveva esitato, nel marzo 2015, ad umiliarlo di fronte al Congresso Usa parlando contro l’accordo sul nucleare iraniano fortemente voluto dalla Casa Bianca.

È finita a stracci in faccia. Netanyahu, ingrato, dimenticando il recente via libera della Casa Bianca a un piano di aiuti militari a Israele per 40 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni, in anticipo sul voto di ieri sera, usando un funzionario governativo aveva accusato Obama e il segretario di stato John Kerry di aver messo in atto una «spregevole mossa contro Israele alle Nazioni Unite». Il presidente americano uscente, aveva aggiunto il funzionario, ha coordinato le mosse all’Onu con i palestinesi per riaffermare lo status di città occupata di Gerusalemme e della sua zona araba: «L’amministrazione Usa ha segretamente confezionato con i palestinesi, alle spalle di Israele, una risoluzione estrema che avrebbe dato il vento in poppa al terrorismo e al boicottaggio e che avrebbe fatto del Muro del Pianto territorio palestinese occupato». Obama, ha aggiunto, «avrebbe dovuto subito dichiarare la sua volontà di mettere il veto su questa risoluzione, invece l’ha sostenuta. Questo è un abbandono che rompe decenni di politica americana a protezione di Israele all’Onu e mina le prospettive di lavorare con la prossima Amministrazione nel far avanzare la pace».

Invece il governo Netanyahu lavorerà molto bene e in piena sintonia con la prossima Amministrazione americana. L’ha detto subito l’ambasciatore Danon: «Non ho dubbi sul fatto che la nuova amministrazione americana e il nuovo segretario generale dell’Onu apriranno una nuova era in termini di relazioni dell’Onu con Israele». D’altronde gli sviluppi di giovedì notte, prima dell’approvazione ieri sera della risoluzione, lo dicono con estrema chiarezza. Netanyahu infatti era riuscito a bloccare il voto e a frenare l’Amministrazione Obama. Prima ha bombardato di telefonate gli egiziani, promotori del progetto di risoluzione, poi ha messo in moto gli “amici” alle Nazioni Unite. Determinante è stato anche il presidente eletto Usa Donald Trump che è intervenuto in ogni modo, anche via twitter, per far congelare il voto. Il Cairo giovedì aveva ceduto, subito. Trump, in una conversazione telefonica con il leader egiziano Abdel Fattah al Sisi, aveva messo le cose in chiaro: al comando presto ci sarò io, l’Egitto riceve sostanziosi aiuti americani, Israele e le sue politiche non si toccano. Al Sisi – che non ha mai digerito la politica di Obama in Medio Oriente, troppo morbida, a suo dire, con i Fratelli musulmani, e il mese scorso aveva applaudito alla vittoria di Trump – ieri ha spiegato di aver concordato il presidente eletto «che alla nuova amministrazione Usa deve essere data la possibilità di risolvere il conflitto israelo-palestinese».

Allo stesso tempo era scesa in campo la squadra di Trump per ricordare ad Obama che il suo mandato è agli sgoccioli e che non può fare un passo tanto importante in politica estera aggirando l’Amministrazione che entrerà in carica dopo il 20 gennaio. «La decisione del Cairo di ritirare la risoluzione rappresenta il primo concreto atto della cooperazione tra Trump e Netanyahu», ha commentato la tv israeliana Canale 2. Obama però non ha resistito al desiderio di mettere in atto la sua vendetta e ieri ha scagliato il suo colpo. Troppo tardi però. Questa vendetta non basta a cancellare le ombre, gigantesche, sulla sua presidenza. Pesano le mancate promesse fatte nel 2009 quando aveva parlato di una svolta nella politica mediorientale degli Usa, specie nei riguardi dei palestinesi senza Stato. Svolta che non è mai avvenuta, l’occupazione israeliana non è mai terminata. E con Trump può solo consolidarsi.