«Il miglior giallista bretone? Un tedesco». BibliObs, la rubrica culturale del Nouvel Observateur ne ha celebrato un paio di anni fa l’avvenuta consacrazione internazionale – traduzioni in una quindicina di Paesi e una serie tv tratta dai suoi libri che in Germania è stata seguita da alcuni milioni di telespettatori (in Italia lo ha trasmesso Rai 2) – giocando proprio sul fatto che in realtà a legare alla Bretagna lo scrittore di Bonn Jörg Bong fossero soprattutto una straordinaria passione per questa terra e il nome, che più brezhoneg (bretone, nella lingua locale) non potrebbe suonare, di Jean-Luc Bannalec con cui ha firmato nell’ultimo decennio le indagini del commissario Georges Dupin.

Nove romanzi, dei quali i primi tre sono stati pubblicati da Beat – Intrigo bretone, Risacca bretone e, di recente, Oro bretone (traduzione di Giulia Cervo, pp. 270, euro 18) che fin dal titolo indicano come il personaggio principale delle storie sia in realtà la Bretagna stessa, raccontata in una forma in qualche modo sospesa, e talvolta sognante, tra i miti e le leggende di cui è ricca una regione dove l’ascendenza celtica è ancora palpitante e i sordidi segreti, gli interessi inconfessabili di un mondo di provincia dove spesso i crimini si celano dietro un aspetto più che rassicurante.

LO STESSO COMMISSARIO Georges Dupin che guida i lettori alla scoperta dei molteplici volti che convivono in questa terra che ha imparato ad amare ma la cui essenza sente rimanergli sempre un po’ misteriosa, è di volta in volta sorpreso dalla maestosità dei paesaggi naturali del luogo, quanto da ciò che tramonti mozzafiato e spiagge lucenti possono in realtà celare.

Quando lo incontriamo per la prima volta è arrivato al commissariato di Concarneau da un paio d’anni, trasferito da Parigi per punizione dopo aver offeso il sindaco della capitale nel corso di un’indagine; senza che venga nominato si capisce trattarsi di Jacques Chirac che sarebbe diventato in seguito un «chiacchierato presidente della Repubblica». Dupin non ama il protocollo né i leccaculo, come sanno bene i suoi collaboratori più zelanti che tratta con malcelato disprezzo ma senza alcuna traccia di arroganza. Quando il tempo lo permette indossa jeans e polo anche in servizio e guida una vecchia Citroën XM, erede della gloriosa CX, la «molleggiata» degli anni Settanta.

MA, SOPRATTUTTO, da quando ha preso servizio nella città del Finistère – la terra alla «fine del mondo» come i conquistatori romani avevano ribattezzato la parte più estrema della penisola che per i locali è invece penn ar bed, il «capo del mondo», l’inizio di ogni cosa – Dupin inizia ogni giornata seduto all’Amiral, lo storico bar che affaccia sul porto già frequentato da Maigret negli anni Trenta per l’indagine del Cane giallo, per sfogliare i quotidiani locali e cercare di carpire alle pagine della cronaca, che raccontano anche quanto avvenuto in frazioni di poche anime, ciò che ancora della realtà bretone sembra fatalmente sfuggirgli.

L’attore svizzero Pasquale Aleardi che interpreta Dupin nella serie tv tratta dai romanzi di Bannalec

SUL CAMPO, il commissario si muove tra delitti di celebri ristoratori che vengono perpetrati a Pont-Aven, dove Paul Gauguin soggiornò inseguendo un mondo altrettanto leggendario e inafferrabile di quello che avrebbe trovato in Polinesia di lì a qualche anno. O sulle isole Glénan, dove il mare restituisce tre cadaveri senza nome ma dove tutto è talmente luminoso che «gli abitanti della costa raccontavano che quello spettacolo rendesse ebbri e che desse alla testa». Infine, è tra le saline di Guérande, dove una piana di marea è stata trasformata dalla mano dell’uomo in uno scenario lunare, «un paesaggio sconvolgente», che il commissario dovrà muoversi per far luce sulla scomparsa di Lilou Breval, la giornalista di Ouest-France che più volte gli ha passato qualche informazione preziosa.

SEDOTTO DALLA BELLEZZA della natura e affascinato dall’eco dei miti che respira intorno a sé, Georges Dupin non arretra di fronte ad alcun pericolo nella ricerca della verità, anche se già sa, come gli ricorda spesso Nolwenn, una delle più fidate tra gli agenti di Concarneau, che anche così, pur passando il resto della sua vita da quelle parti, non potrà ambire che ad essere solo «un po’ bretone», restando comunque «un parigino», seppure piuttosto apprezzato dai locali.