«Lexotan,software, Roipnol, hardware, Morfina, Prozac, Amfetamine». Comincia spesso con un rosario di sostegni farmacologici e psicologici l’esibizione live della Rete Comar, un curioso ensemble napoletano che proviene dal teatro-canzone ed è appena approdato al primo disco, Tutti fuori, una specie di autodenuncia di irrimediabile alterità, fuori moda e fuori di zucca, fuori dalla realtà però poetici e divertenti. I sei musicisti e un attore si sono conosciuti tre anni fa durante un workshop sperimentale dove hanno imparato a mischiare linguaggi diversi, il dialetto e il rock, l’ironia corrosiva e il sound mediterraneo, la passione sociale, le inevitabili citazioni e le ritmiche meticciate, tutti ingredienti presenti nel disco che oscilla tra Core carnale, sul problema del femminicidio a Polvere leggera (con un bellissimo videoclip),dedicato a Felice Pignataro, l’artista ideatore del carnevale di Scampia, simbolo del riscatto delle periferie metropolitane, a Maya e Dove vai, sulla vita di stagisti,tirocinanti e cococo, precari d’oggidì.

I brani sono tutti originali tranne una rivisitazione di Viva la pappa col pomodoro, omaggio al caro (e faro) Nino Rota. Il gruppo che da un lato inneggia alla libertà, velocità e democraticità di Internet dall’altro sarebbe l’acronimo di Collettivo Organizzato Manutenzione Artistica Reciproca e «indica comunità, senso di appartenenza, e la manutenzione è qualcosa che rinvia alla cura, all’attenzione giornaliera» dice la cantante Silvia Romano, insomma un buon suggerimento per Gigginolandia, sgarrupata e lercia.
Loro la chiamano «la città della musica» come il progetto finanziato con l’otto per mille della tavola valdese per l’integrazione interculturale, un laboratorio musicale che hanno messo su nella Scuola della Pace «diretto ai fratelli immigrati» per avvicinarli agli strumenti, all’arte, alla bellezza attraverso corsi interdisciplinari, altri piccoli gesti di resistenza quotidiana in un progetto artistico avvincente e tempestivo.