Luigi Di Maio ha perso la pazienza e ammonisce Matteo Salvini: «Si sta assumendo una responsabilità storica legandosi a Berlusconi. Non aspetto i suoi comodi. Aspetto ancora qualche giorno, poi uno dei due forni chiude». Peccato che l’altro forno, quello al quale minaccia di rivolgersi in esclusiva, sia già chiuso. Lo hanno sprangato i fornai Renzi e Orfini e a riaprirlo per l’occasione non ci pensano per niente. Raramente si è visto un ultimatum meno temibile.

L’OGGETTO DI TANTA FURIA, Salvini, però non è da meno. Dopo aver suscitato le ire funeste del capo politico dei 5S rispondendo con l’ennesimo diniego all’ordine di separarsi da Berlusconi, «gli elettori hanno votato centrodestra e Di Maio manca di rispetto verso gli elettori», assicura che se la Lega vince le regionali «il governo si fa in 15 giorni». Cosa mai dovrebbe cambiare sul piano nazionale ove il Carroccio trionfasse in Molise e Friuli però non lo si capisce e il profeta non dettaglia. E’ anche questo un petardo travestito da bomba.

La realtà è che, nel corso della «pausa di riflessione» voluta da Mattarella dopo il disastroso esito delle ultime consultazioni, non solo nulla è cambiato ma le cose sono decisamente peggiorate. Salvini e Di Maio continuano a mandarsi messaggi a distanza, senza aprire varchi e anzi scivolando sempre più sull’insulto. Incalzato da Alssandro Di Battista, con sul collo il fiato delle critiche durissime all’interno del Movimento per l’esagerato moderatismo e la linea troppo filo Nato, Di Maio fa proprie le sue battute non proprio concilianti sul capo del Carroccio («Al Quirinale pareva Dudù»): «Condivido. Berlusconi lo ha umiliato».

CON SIMILI PRESUPPOSTI per sperare che la situazione si sblocchi nei prossimi giorni non basta l’ottimismo. Ci vuole fede nei miracoli. Ma nel caos di una crisi che pare sfuggita a ogni tentativo di renderla governabile, le ombre si allungano già fino a oscurare anche il passo finale che Mattarella potrebbe dover muovere, l’ultima carta, il «governo del presidente». Ieri il ministro Calenda, tessera del Pd ancora fresca d’inchiostro in tasca, ha svelato il gioco con troppo anticipo. Propone un «governo di transizione» con «tutti dentro» e chiarisce che per tutti non intende solo le tre formazioni principali. Giustissimo, per carità, quelle formazioni però sono imprescindibili e perché la strada sia sgombra devono accettare la formula tutte. Non è affatto certo che succeda.

SALVINI NON PERDE occasione per bocciarla e ieri è stato persino più tranchant del solito: «Mai nella vita con il Pd». Di Maio adopera toni più urbani ma esclude anche lui il governo di tutti. Il Pd rintuzza il ministro neo-iscritto, non per la sostanza ma per la tempistica. «Occorre che prima Salvini e Di Maio prendano atto del loro fallimento». A quel punto è opinione diffusa, e probabilmente giustificata, che il Pd accetterebbe quello che oggi finge di escludere. Sempre che Salvini non si metta di mezzo, perché un suo rifiuto costringerebbe al no anche Fi. Senza centrodestra parlare di «governo di tutti» sarebbe surreale e tutto diventerebbe molto più impervio sia per M5S che per il Pd.

INSOMMA, IL REBUS che Mattarella si trova fra le mani fa sembrare il cubo di Rubik un giochino di facile risoluzione. Tanto più il presidente intende procedere un passo alla volta, e la prima scelta riguarda il nome dell’esploratore a cui affidare, probabilmente domani, un mandato limitato. L’ipotesi che la scelta cada su Salvini era già poco probabile, anche perché sarebbe un atto di aperta ostilità nei suoi confronti. La posizione filo Putin che il leghista brandisce ogni giorno di più rende quella scelta ancor meno facile: le famose cancellerie europee, infatti, proprio non gradirebbero. Non è escluso che il leader del Carroccio abbia adoperato la vicenda siriana per allontanare l’amaro calice di un pre-incarico che sarebbe per lui quanto di meno gradito: lo costringerebbe ad ammettere il fallimento.

IL NOME PIÙ QUOTATO resta al momento quello della presidente del Senato Casellati. La controindicazione è però evidente: l’ostacolo che impedisce di dar vita al un governo M5S-destra si chiama Berlusconi e una berlusconiana di ferro come lei non sembra la persona più adatta per rimuoverlo. Mattarella però esita nel mettere in campo gli altri due nomi papabili, Di Maio e il presidente della Camera Fico. Sono quelli su cui puntare nella fase successiva: quella in cui, senza un varco per l’intesa M5S-Lega, dovrà inviare alle camere un premier scelto da lui.