«Mamma, quando torniamo a casa nostra?», chiede una bambina. «Presto, torniamo presto».

Le giornate nelle tendopoli sono un intervallo tra una vita crollata con il terremoto di mercoledì notte e un’altra che prima o poi dovrà cominciare. Ad Arquata del Tronto le tende blu sono decine, gli ospiti qualche centinaio. Alcuni sono riusciti ad andare via – i vacanzieri arrivati nel Piceno per trascorrere le ferie -, altri hanno trovato alloggio da amici e parenti. Chi è rimasto rincorre una normalità che però continua a sfuggire: di cibo ce n’è in abbondanza e, dopo i vari appelli dei giorni scorsi, sono arrivati anche tanti scatoloni con sapone, dentifricio, salviette e vestiti. Manca il resto, le piccole cose che di solito appaiono scontate ma che, qui e ora, sono praticamente beni di lusso: non è raro che qualcuno chieda una sigaretta e il pacchetto finisce in fretta perché una volta tirato fuori dalla tasca in tanti poi ne vogliono una. Si fa quel che si può.
«La vera emergenza è quella delle prime quarantotto ore – dice un volontario della protezione civile -, però è arrivata tantissima roba e i volontari pure sono venuti in massa. I problemi torneranno tra un mese, quando la gente si sarà dimenticata di questa storia». Le questioni, al momento, sono soprattutto di tipo organizzativo.

«Abbiamo finito le operazioni di recupero», questo l’annuncio dei vigili del fuoco nella tarda mattinata. Tutte le segnalazioni di persone scomparse sono state evase, anche se rimane da controllare qualche casa isolata, ce ne sono decine tra Arquata e le frazioni che arrivano fino al monte Vettore. «Serve tranquillità, bisogna provare a vivere una vita normale anche qui», spiegano ancora.

Ma come si fa a trovare la normalità in un posto costruito dal nulla nel giro di poche ore? Il paesaggio artificiale di notte è illuminato da due torri faro, intorno le macerie sono vicine. Il pensiero che che fino a martedì sera si era nel bel mezzo dell’estate è un buco nel cuore di chi è riuscito a cavarsela. Allora si lavora di fantasia, si fanno giocare i bambini, si scambiano due chiacchiere, con i discorsi che si interrompono ad ogni scossa di assestamento. Poi si continua a parlare. Milioni di parole sugli argomenti più disparati, perché il ricordo freschissimo del dramma è dietro ogni angolo e si può soltanto cercare di dirottare l’attenzione altrove, su argomenti minimi, almeno per qualche minuto. Basta poco: l’Ascoli che comincia il campionato di Serie B, la disfatta della Roma ai preliminari di Champions, la qualità della cucina del campo (promossa a pieni voti), le amicizie comuni che si scoprono all’improvviso, l’inizio della scuola.

Già, la scuola. La ripresa delle lezioni, fissata per metà settembre, è un’incognita non da poco: «Siamo al lavoro per la ripresa puntuale delle lezioni – ha promesso la ministra dell’istruzione Stefania Giannini in un post su Facebook – Stiamo lavorando in queste ore, perché in tutti paesi colpiti dal sisma tutti i bambini possano riprendere la scuola puntualmente e in condizioni di regolarità». Forse ci si attrezzerà nelle tende, forse si trasferiranno le classi in qualche paese vicino. L’istituto comprensivo di Gualdo Tadino, nella vicinissima Umbria, ha dato la propria disponibilità a mandare insegnanti sui luoghi colpiti dal terremoto. Ci sono delle date: da oggi fino all’11 settembre, poi si vedrà.

Le giornate, bene o male, passano così, con il caldo che costringe tutti a stare all’aria aperta, mentre troupe televisive da tutto il mondo si fanno strada alla ricerca di voci e volti, la protezione civile fa i salti mortali per rendere il soggiorno in tenda il meno traumatico possibile – gli scatoloni di provviste da sistemare, le file per ritirare i documenti e i portafogli recuperati tra le macerie, la gestione di una specie di ufficio oggetti smarriti. C’è chi aspetta che qualcuno lo passi a prendere per andare via, chi dovrà restare cerca di non pensare troppo a un futuro avvolto nelle nebbie di una ricostruzione impossibile da collocare nel tempo. Ci vorranno mesi? Anni? E nel frattempo che si fa? Nessuno sembra in grado di dare risposte che vadano oltre il campo delle ipotesi e delle impressioni.

Di notte la temperatura scende anche sotto ai 10 gradi. Le persone si avvolgono nei cappotti e nelle coperte. Si prova a dormire, qualcuno lo fa in macchina. Si trema parecchio, non tanto per il freddo, ma per le scosse che ancora vanno avanti. Sono state 1059 dalla notte del 24 agosto alle 17.13 di ieri, quella della mattina di 4.8 è stata la peggiore. «Meno male che qui non ci può crollare niente addosso», dice una donna che tanto ormai non riesce più a chiudere occhio.

Servono coraggio (tanto) e pazienza (tantissima), e questa gente di montagna non sembra avere alcuna voglia di mollare. «Vogliamo rimanere qui», continua a ripetere il sindaco di Arquata Aleandro Petrucci. Niente new town, niente trasferimenti nelle casette dell’Expo a Milano. Perché una casa non è solo quattro mura e un tetto, ma anche una serie di pratiche collettive rese indistruttibili dal tempo passato insieme, a restituire il senso di una comunità orgogliosa che il terremoto ha spezzato senza tuttavia riuscire a piegare.

Intanto, quella di oggi è stata proclamata giornata di lutto nazionale, con bandiere a mezz’asta in ogni ufficio pubblico italiano. I funerali di Stato si svolgeranno alle 11, con una messa officiata dal vescovo Giovanni D’Ercole nella palestra di Monticelli, quartiere periferico di Ascoli Piceno costruito per far fronte all’emergenza di un altro terremoto, quello del novembre 1972.

Parteciperanno il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il premier Matteo Renzi, la presidente della Camera Laura Boldrini, il presidente del Senato Pietro Grasso (il cui figlio, Maurilio, è stato anche commissario di polizia da queste parti, qualche anno fa) e i parlamentari marchigiani.

All’obitorio dell’ospedale di Ascoli sono arrivate 48 salme, di cui 14 sono poi partite alla volta delle città d’origine delle vittime.

Dopo i funerali, 19 corpi verranno portati di nuovo ad Arquata, anche se ci sono parecchi dubbi sull’agibilità dei cimiteri del comprensorio. Il terremoto non ha risparmiato neanche quelli.