Mercoledì 18 dicembre l’Australia ha registrato un nuovo record. È stato il giorno più caldo da quando esistono le stazione metereologiche, con una media delle temperature massime di 41.9 gradi in tutto il continente. Due giorni dopo, venerdì 20 dicembre, lo stato di Victoria, nell’Australia meridionale, ha registrato temperature di 47 gradi Celsius. Mentre Sydney era avvolta dai fumi degli incendi, che rendono l’aria irrespirabile e tingono i tramonti di colori post apocalittici, i venti provenienti da nord trasportavano gli stessi fumi e le ceneri, fino alla città di Melbourne, a migliaia di chilometri di distanza.

Giovedì 19 dicembre, il governo del New South Wales ha dichiarato lo stato di emergenza a fronte della situazione gravissima dovuta al proliferare degli incendi che stanno mettendo in ginocchio il paese. Gli stati australiani del New South Wales e del Southern Australia stanno difatti affrontando il più distruttivo periodo di incendi a memoria d’uomo, che ha causato la morte di nove persone, tra cui due vigili del fuoco volontari, e la distruzione di più di 1100 abitazioni. Attualmente, circa 2500 vigili del fuoco stanno lottando per contenere i più di 200 incendi, la metà dei quali è classificata come fuori controllo.

GLI INCENDI non hanno risparmiato nemmeno le antiche foreste delle Blue Mountains, parco naturale considerato patrimonio dell’umanità, dove fiamme di 60-70 metri hanno devastato circa il 20% dell’area. Lo stesso vale per la foresta Gonwaniana, un ecosistema unico al mondo, dichiarato ufficialmente patrimonio dell’umanità nel 1994, che si estende tra gli stati di New South Wales e Queensland. Mark Graham, ecologo del comitato di conservazione della natura del New South Wales, parla di una tragedia di portata globale.

Circa 800mila ettari di parchi sono andati perduti dallo scorso luglio e gli incendi stanno gravemente impattando sulle popolazioni di gran parte della fauna selvatica del paese. I recenti incendi, infatti, hanno causato la morte di più di un migliaio di koala, una specie già in forte declino in tutto il paese e considerata ad altissimo rischio di estinzione in New South Wales entro i prossimi 20-30 anni.

L’attuale situazione apre necessariamente uno scenario in cui le politiche di conservazione della natura dovranno essere ancora più incisive, ha commentato Chris Gambian, responsabile esecutivo del comitato di conservazione della natura del New South Wales.

Nel frattempo il presidente Scott Morrison, che ha fatto ritorno d’urgenza da una vacanza alle Hawaii, è stato contestato pubblicamente per le sua reticenza a collegare gli incendi e le recenti ondate di calore estremo alla crisi climatica dovuta al riscaldamento globale. In modo analogo, David Littleproud, il ministro federale per i disastri naturali e la gestione delle emergenze, sollecitato sulla necessità di fare di più per la questione climatica, ha risposto che l’Australia è pienamente impegnata a raggiungere gli obiettivi definiti durante la Cop (Conferenza delle Parti) 21, meglio noti come accordi di Parigi.

Foto Afp

L’AFFERMAZIONE è risultata però quantomeno controversa. Un recente report internazionale ha infatti valutato l’operato dell’Australia rispetto alle politiche di mitigazione della crisi climatica come uno dei peggiori tra i paesi del G20, a causa del massivo utilizzo di combustibili fossili e della crescita di emissioni di CO2.

Inoltre, l’Australia, insieme a Brasile e Arabia Saudita ha avuto un ruolo di primo piano nel boicottare gli accordi di Parigi che dovevano essere discussi in dettaglio nella Cop svoltasi a Madrid questo dicembre. La causa del dissenso è dovuta all’opposizione di molti paesi alla possibilità che l’Australia utilizzasse i crediti di emissioni del precedente trattato di Kyoto per raggiungere gli obiettivi definiti all’interno della Cop 21 di Parigi.

Il riutilizzo dei crediti sviluppati a causa delle buone politiche energetiche da precedenti governi non trova però alcun fondamento negli accordi di Parigi e risulta in aperto contrasto con l’obiettivo di mantenere il pianeta al di sotto della soglia di 1.5 C di riscaldamento rispetto all’epoca preindustriale.

L’Australia è uno dei paesi al mondo a più alta vulnerabilità a causa degli effetti della crisi climatica, di cui sta già pagando le conseguenze, con interi ecosistemi a rischio (come la grande barriera corallina, dove la formazione di nuovo corallo è diminuita di circa il 90%), specie in declino e a forte rischio di estinzione, scarsità d’acqua ed eventi atmosferici sempre più intensi.

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A UN PRIMO SGUARDO l’Australia rappresenta una notevole eccezione alla triste relazione tra crisi climatica e diseguaglianza globale, essendo anche uno dei paesi formalmente più ricchi al mondo. Tuttavia, fondata su un passato di stampo fortemente coloniale, al suo interno nasconde tuttora un’enorme diseguaglianza sociale con cui fare i conti, dove la componente nativa (aborigena) della popolazione è anche la prima a soffrire gli effetti terribili della crisi climatica.

Nella regione centrale dell’Australia, almeno nove comunità indigene soffrono una grave carenza idrica e altre dodici hanno a disposizione solamente acqua ad alta componente salina a causa dell’evaporazione della falda acquifera.

L’estate passata, infatti, nell’Australia centrale è stata la più arida degli ultimi 27 anni. La città di Alice Springs caratterizzata da una forte componente aborigena, nei primi sei mesi del 2019 ha registrato 129 giorni sopra i 35°C e 55 giorni sopra i 40°C.

E la carenza d’acqua, insieme all’eccessivo calore, si traduce in carenza di igiene e diffusione di malattie. Inoltre, nelle comunità aborigene molte delle abitazioni sono state fornite dal governo e consistono in strutture di cemento la cui efficienza nel disperdere il calore è molto bassa e prive di impianti di condizionamento, che in una regione dove le strade al sole possono raggiungere la temperatura di 68°C, come accertato da un recente ricerca, non rappresentano un bene di lusso ma una tecnologia necessaria.

JIMMY COKING, direttore dell’Aride Land Center in Alice Springs, teme l’avvento di grandi migrazioni ambientali, dalle comunità native verso la città, in questo caso Alice Springs. Paradossalmente, sono proprio gli stessi popoli nativi che hanno abitato questa regione da migliaia di anni che si trovano ora nella condizione di «rifugiati climatici».

Eva Lawler, ministra dell’ambiente nello stato dei Northern Territories, ha dichiarato che in assenza di un cambiamento, lo stato dei Northern Territories diventerà presto invivibile.

Nel frattempo l’Australia si trova stretta in una morsa di calore che si prevede possa raggiungere, in alcune località, la temperature record di 50°C.
Come hanno ripetuto nei mesi passati le centinaia di migliaia di persone che hanno sfilato durante i numerosi cortei per l’emergenza climatica in tutte le maggiori città australiane, in Australia, più che mai, sono urgentemente necessarie delle Climate Actions, now.